venerdì 8 aprile 2016

I KIT DEL VINO



Un vino che non è vino ma “solo una bevanda idroalcolica (alcol + acqua) che nulla ha a che vedere con il nettare di Bacco e in special modo con il Verdicchio”. Il professore di industrie e tecnologie alimentari dell’Università Politecnica delle Marche, Natale Giuseppe Frega, ha per primo analizzato scientificamente uno dei famigerati kit per ‘autoprodurre il vino’ – in questo caso un fantomatico Verdicchio proveniente dai “Castelli Canadesi”, con tanto di foto del Colosseo e della immancabile bandiera italiana. E l’analisi presentata al Vinitaly nello stand della Regione Marche è impietosa e per molti versi inquietante, con il professore che è stato netto nel descrivere il mostro: “È un intruglio fermentato che del Verdicchio scimmiotta solo il nome. E’ un prodotto con bassissimi polifenoli, che ha perso tutti gli antiossidanti ed è quindi privo di tutte le proprietà benefiche e salutari del vino. Inoltre al tracciato della frazione aromatica – ha continuato il professor Frega – il Verdicchio canadese ha un profilo totalmente piatto: zero aromi rispetto ai numerosissimi contenuti nel Verdicchio dei Castelli di Jesi, che lo rendono unico e inimitabile. Questo non ha nulla ha a che vedere con il vino e con il Verdicchio: è solo una bevanda idroalcolica”.

Online si può acquistare un kit per la produzione di vino italiano. Il kit consiste in diverse polverine, agenti chimici, mosto e trucioli di quercia.

In Europa si stavano diffondendo i cosiddetti “vini in polvere”; in particolare, in Gran Bretagna si commercializzavano vini in polvere spacciati per Valpolicella, Chianti o Barolo, vini coperti da marchi Dop e Igp. I “falsi vini in polvere” sono stati prodotti in Svezia e in Canada e commercializzati online proposti ai consumatori come una bevanda definita “vino italiano“.



Secondo le stime di Coldiretti, nella sola Unione europea sarebbero oltre 20 milioni le bottiglie di vino ottenute dalle misture commercializzate online. A ritirare il vino in polvere dal commercio è stata l’Ue che, dopo aver contattato le autorità italiane e britanniche, ha disposto la messa in pratica dei provvedimenti necessari a prevenire qualunque uso illecito dei marchi Dop e Igp.

Il caso è stato sollevato dalla trasmissione televisiva “Striscia la Notizia”, a rispondere è stato il Commissario europeo all’Agricoltura, Dacian Ciolos, che ha ricordato come «i prodotti in questione non possano essere commercializzati utilizzando una denominazione di origine protetta o un’indicazione geografica protetta, nemmeno attraverso una semplice evocazione del nome». Pare che i vini in polvere possano essere commercializzati liberamente ma certamente con specifiche differenti in etichetta. Si inizia a parlare di agropirateria e business illecito che sfrutta falsi marchi per catturare l’attenzione di consumatori più ingenui e danneggiare i veri produttori di categoria e i consorzi italiani.



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