giovedì 8 ottobre 2015

GLI AVANZI ALIMENTARI



Piatti gourmet, servizio ospitale e rispetto dell'ambiente. Sono questi i tre pilastri che reggono l'attività del Rub & Stub, il primo ristorante europeo che serve in tavola alimenti destinati, a volte per motivi puramente estetici, al secchio della spazzatura. Una  battaglia quella contro lo spreco alimentare in cui hanno creduto i cento volontari che nel 2013 hanno deciso di investire tempo ed energie per creare un luogo di convivialità trasformando gli "scarti" in portate gustose e attente all'ambiente.

Avanzi, non spazzatura. Ad arrivare nelle cucine del locale sono le eccedenze e le donazioni di agricoltori, panifici, ma anche aziende della grande distribuzione. Gli alimenti scartati non sono spazzatura, ma spesso finiscono nel secchio dell'immondizia per motivi che nulla hanno a che fare con la loro "commestibilità". A volte si tratta di frutta e verdura che non  rispecchiano i canoni estetici desiderati, altre cibi vicini alla data di scadenza che ingombrano magazzini e scaffali e di cui i commercianti non sanno che farne. Per questo gli ideatori del progetto hanno deciso di lanciare una sfida alla spreco, sfida che nei primi 18 mesi ha permesso di salvare dalla discarica 3,5 tonnellate di cibo.
Ma un'iniziativa del genere non manca di ostacoli. Uno in particolare riguarda la varietà dei cibi. Se verdure e frutta non mancano, reperire altri alimenti attraverso le donazioni non è sempre facile. Fino a oggi il 30% delle materie prime servite nel ristorante derivano direttamente dagli avanzi, ma si spera che in futuro attraverso delle partnership con produttori e supermercati si possa aumentare la percentuale e di conseguenza il guadagno da destinare in beneficenza.
Tra le finalità del progetto ci sono non solo la lotta agli sprechi alimentari, ma anche "mostrare  -  si legge nel sito dell'azienda  -  quanto l'industria alimentare sia diventata irragionevole e trovare un modo per tornare a un consumo alimentare intelligente". Dall'1 gennaio 2015 Rub&Stub è entrato a far parte del Consiglio danese per i rifugiati. I profitti dell'azienda sono in parte reinvestiti nell'attività e in parte destinati a promuovere altri progetti che hanno come fine quello di trovare un'alternativa al consumo smodato che ogni anno getta nel secchio della spazzatura miliardi di tonnellate di alimenti ancora commestibili.



Food sharing, campagne di sensibilizzazione, corsi di cucina con gli avanzi. Fioriscono ovunque le iniziative contro lo spreco alimentare. Ogni anno il cibo ancora buono che viene gettato nella spazzatura è troppo.

Si compra troppo cibo, si sbagliano le dosi, si rispettano alla lettera le date di scadenza impresse sulle confezioni e si spreca tantissimo. Secondo la Fao ogni anno il 30 per cento del cibo prodotto per il consumo umano viene sprecato, e secondo i dati dell’Unep, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, il cibo buttato o lasciato marcire equivale alla metà della produzione di cereali annua mondiale.

Sono sempre più numerose le iniziative mirate che coinvolgono amministrazioni, associazioni ed esercizi commerciali, dalla grande distribuzione al singolo bar o ristorante per evitare lo spreco di cibo: ecco in rassegna alcune idee già messe in atto nel mondo per ispirarci, magiare meglio e non sprecare.

In Belgio, nei comuni di Herstal e di Namur, una nuova norma impone ai  supermercati di donare i prodotti invenduti ancora buoni alle associazioni di volontariato che li ridistribuiscono alle persone indigenti.

A Lisbona con il progetto Refood centinaia di volontari girano in bicicletta per ristoranti, negozi di alimentari, panetterie, supermercati e case dei privati per recuperare il cibo avanzato e lo portano poi alle associazioni che si occupano di assistenza ai poveri sul territorio. Nel quartiere di Nossa Senhora de Fàtima sono più di cento i locali che aderiscono e più di 300 i volontari; a Telheira ci sono 200 volontari e 150 negozi iscritti.

A Helsinki, nell’area di Roihuvuori, l’attenzione è sul food sharing di quartiere: gli abitanti possono portare il cibo in eccesso o usufruire di quello a disposizione grazie al progetto “Saa syödä!” (letteralmente: “licenza di mangiare”) che è stato messo a punto da alcune società private con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente.

In Danimarca il movimento di consumatori Stop Wasting Food porta avanti la lotta allo spreco alimentare con campagne di sensibilizzazione nelle scuole, conferenze pubbliche e seminari; inoltre, con la collaborazione di noti chef danesi ha realizzato una serie di ricettari, i Leftovers Cookbook, che spiegano come riutilizzare gli avanzi dei pasti per cucinare nuovi piatti.

In Francia, la catena di supermercati Intermarché ha lanciato la campagna Inglorious fruits and vegetables, che mira a vendere gli ortaggi esteticamente brutti, ma buoni: in base alle norme europee la “frutta brutta” non ha mercato e quindi finisce direttamente dal campo alla discarica pur essendo perfettamente commestibile. Grazie a questa campagna frutta e verdura dalle forme strane vengono riabilitate e avvicinate alla sensibilità delle persone. Questi prodotti brutti ma simpatici si trovano in un apposito banco nel reparto ortofrutta e hanno un packaging dedicato che ne sottolinea la bontà: in pochi mesi i negozi in cui la campagna è stata messa in atto hanno registrato un aumento delle vendite del 24 per cento.



Sulla falsariga dell’esperienza francese in Germania è nata Ugly Fruits, una campagna di riabilitazione della frutta esteticamente brutta ma nutrizionalmente buona lanciata da tre studenti. Grazie alla loro iniziativa ora limoni bitorzoluti, zucchine scolorite e carote deformi si trovano sugli scaffali dei supermercati e sulle tavole. Il sogno dei tre studenti, secondo quanto riportato dal settimanale Der Spiegel è quello di vedere la nascita di supermercati "Ugly Fruits”, negozi che vendano esclusivamente i prodotti che vengono rifiutati da altre catene.

Ancora in Germania, ma a Berlino, nel cortile di un condominio del quartiere di Kreuzberg sono stati collocati dei frigoriferi che ospitano cibo appena scaduto o vicino alla scadenza o avanzi e frutta e verdura esteticamente brutti. Si tratta di frigoriferi condivisi, riempiti da volontari che si occupano di raccogliere eccedenze da aziende, negozi e ristoranti, ma anche da gente comune del quartiere.

Sempre in Germania dal 2012 esiste Culinary Misfits, un’azienda di catering che per realizzare i suoi piatti utilizza solo ingredienti scartati da ristoranti e supermercati per via della loro forma non convenzionale o di qualche ammaccatura: frutta e verdura che non rispettano canoni estetici e dimensionali diventano così ingredienti buoni e saporiti alla base di piatti che vengono preparati per feste, ricevimenti, eventi di ogni genere. L’idea è nata dalle due ex designer tedesche Lea Emma Brumasck e Tanja Krakowski, che hanno scelto l’ironia per il nome della loro iniziativa: “culinary misfits” significa infatti “scherzi della natura”, un concetto che si rifà all’aspetto estetico della frutta e della verdura ma sfata anche il luogo comune secondo cui il cibo è buono solo se è bello.

Rubies in the Rubble è un’esperienza inglese che dimostra come è possibile evitare lo spreco di cibo e allo stesso tempo e affrontare i problemi della disoccupazione e dell'esclusione sociale. Il progetto vuole realizzare un cambiamento nella comunità locale offrendo impiego a individui meno fortunati e vuole andare contro la cultura attuale dei rifiuti eccessivi, utilizzando frutta e verdura scartati per fare chutney e marmellate.

Stanco di buttare i prodotti invenduti della fattoria della sua famiglia, la Bloomfield Organics, Nick Papadopoulos ha lanciato la piattaforma di community on-line CropMobster™. Questo strumento consente agli agricoltori, ai commercianti, ai ristoratori della San Francisco Bay Area di pubblicare avvisi in cui offrono eccedenze alimentari per la vendita, donazione, o il commercio. I messaggi vengono immediatamente trasmessi attraverso il sito ai vari social media, tra cui Facebook e Twitter. Dal suo lancio nel marzo 2013 CropMobster ha rimesso in circolo 500.000 £ di prodotti alimentari, circa un milione di porzioni per persone, banchi alimentari, scuole e altri gruppi in difficoltà.

Almeno una volta al giorno qualcuno si domanderà dove va a finire tutto quel cibo che scorre nei programmi televisivi dedicati alla cucina. Per soddisfare questa curiosità siamo andati a scoprire cosa succede dietro le quinte dei programmi più gettonati. A cominciare da MasterChef condotto dagli chef Bruno Barbieri, Carlo Cracco e dal ristoratore Joe Bastianich. Quando lo zoom scorre gli scaffali della dispensa o le prelibatezze nascoste nelle mistery box ogni appassionato di cucina prova un brivido di piacere. O di dispiacere, se si domanda che fine fanno gli «avanzi» pregiati. Ma il pluristellato chef Bruno Barbieri ci conforta: «Niente di quello che vedete nella trasmissione si butta o va sprecato, tutto viene redistribuito».
«Le derrate che arrivano ogni giorno nel grande ristorante della trasmissione viene stoccato e conservato con attenzione maniacale dal nostro gruppo di chef che lavora dietro le quinte, spiega lo chef - Il cibo che si deteriora in giornata viene riutilizzato per la mensa interna che serve almeno un centinaio di persone». Ma poi ci sono insaccati, formaggi, pesce e carne, pasta, scatolame. Tutto questo ben di dio è già assegnato: esce dagli studi su camioncini per alimenti refrigerati e raggiunge l'Opera Cardinal Ferraris di Milano che lo distribuisce ai poveri. MasterChef , per la donazione, si affida infatti a «Last minute market», una società spin off dell'Università di Bologna impegnata sulla riduzioni degli sprechi a favore dei bisognosi. «È normale che la gente si domandi che destino avrà la dispensa, spiega Barbieri, da noi arrivano prodotti da tutto il mondo e di grande qualità. Ma non va sprecato nulla e trovo un'iniziativa meravigliosa quella di destinare parte del nostro cibo a gente bisognosa. Insomma, anche noi non facciamo solo spettacolo».



In Rai le cose sono molto diverse nonostante la simpatica Antonella Clerici, abbia più volte suggerito di coinvolgere associazioni caritatevoli per poter donare i prodotti in rimanenza della Prova del cuoco . Ma ci sono regole ferree che vanno rispettate. E dei distinguo da fare. «La merce che viene portata in esibizione, come per esempio il prosciutto di montagna, il produttore se lo riporta a casa, premette la Clerici - Poi il cibo cucinato e quello che viene regalato allo studio si mangia dietro le quinte. Siamo in diretta e finiamo alle 13,30, ora di pranzo. Così tutti gli operatori ne approfittano e se qualcosa mi attira me ne faccio dare anch'io una porzione e la mangio in camerino».

E il resto? «Scatolame e i prodotti confezionati non possiamo donarli, spiega la conduttrice amareggiata. Ci sono regole pazzesche. L'unica consolazione è che qui abbiamo un consumo giornaliero, non abbiamo la dispensa di MasterChef . Quanto al pubblico, può solo venirgli l'acquolina in bocca, nessuno può assaggiare neppure una nocciolina». Il perché, lo spiega Simone Rugiati, chef empolese e conduttore di Cuochi e fiamme su La 7. «Se uno spettatore assaggia qualcosa e si sente male ci chiudono la trasmissione. Però io odio buttare via il cibo e per fortuna i piatti che cuciniamo... finiscono in bocca ai miei operatori».

Rugiati pianifica la spesa per evitare avanzi. «Se registro tre giorni io faccio la spesa per due terzi delle puntate, poi l'ultimo giorno controllo cos'è rimasto le cucina e mi invento qualcosa. Il resto della spesa finisce nella nostra pausa pranzo, riutilizziamo tutto: se avanza del pece il giorno dopo nella cucina d'appoggio ci facciamo spaghetti altro e olio e pesce saltato».

Non ha alcun problema di avanzi da riciclare invece Davide Mengacci, Nelle puntate di Ricette all'italiana su Rete4, i piatti cucinati nelle piazze delle città italiane viene mangiato dalle persone che assistono. «Sono come le cavallette, spiega Mengacci - appena smettiamo di registrare si fiondano sui tavoli. C'è un sacco di gente, compreso tanti bisognosi che ne approfittano per riempirsi la pancia a fine puntata». Anche per Benedetta Parodi, il cibo è sacro. Nel suo programma, Molto bene in onda su Real Time dal 23 febbario, tutto è pianificato. «Quando registriamo la mattina, i piatti pronti li utilizziamo per il pranzo di tutta la troupe e la redazione. I cibi cucinati nel pomeriggio, invece, vengono smistati tra me e gli altri collaboratori del programma e vanno davvero a ruba. Nulla viene sprecato, per noi questa è una regola fondamentale».

Ad ogni ora del giorno e della notte i palinsesti delle reti televisive pubbliche, private, dei canali satellitari ne prevedono almeno una: stiamo parlando delle trasmissioni che hanno come argomento la cucina. Declinata in tutti i modi e in tutte le salse. Che ci piaccia o meno, è un dato di fatto. Per capire come viene realizzata e per svelarvi i segreti di una delle rubriche culinarie più seguite della tv, Cotto e Mangiato (in onda su Italiauno all'interno di Studio Aperto ), condotta dal 2011 da Tessa Gelisio, siamo andati dietro le quinte durante le registrazioni. Prima sorpresa: le riprese non si svolgono in uno studio tv ma nella cucina di casa della stessa conduttrice-autrice, affiancata dalla produzione. Si tratta di un gruppo di lavoro affiatato: Angela, la regista; Massimo e Giancarlo, gli operatori; Monica, la produttrice, Arielle, la costumista; Stefania, trucco e parrucco. Si registra 3 o 4 volte al mese, in media 5 puntate al giorno, per 6/7 ore; la messa in onda è dopo circa 3 settimane dal «girato». Le ricette, pre-testate da Tessa, sono tutte interamente eseguite al momento, quindi non c'è nulla di «già pronto» (dubbio che onestamente avevamo anche noi...).

I tempi effettivi di esecuzione sono piuttosto lunghi e decisamente superiori alla durata dei passaggi televisivi: mentre una torta cuoce si passa alla preparazione di un primo o di un secondo, per poi ritornare con le riprese sul dolce una volta sfornato. Per rimanere impeccabile dall'inizio alla fine la conduttrice adotta un accorgimento comodo: abbigliamento informale e niente tacchi, sostituiti da morbide pantofole, che però non vengono mai inquadrate. Oltre all'abilità di Tessa e alla velocità dei cambi di scena ciò che colpisce è il clima di familiarità, l'aria festosa che si respira nella sua cucina. Lo staff nel corso degli anni ha dovuto affrontare anche qualche imprevisto che ha rischiato di compromettere il lavoro e di allungare i tempi di registrazione. «Tempo fa durante una fase di cottura si ruppe il forno. Ma grazie alla disponibilità dei vicini di pianerottolo portammo a termine il programma», ha ricordato Monica. Tessa e i suoi collaboratori ritengono che la vera difficoltà stia nel montaggio perché la durata della rubrica durante il tg non deve sforare il minuto e trenta secondi.

I tecnici utilizzano però con maestria e ottimi risultati un programma che si chiama Final Cut (il sistema digitale di messa in onda è invece il Dalet). E dopo tanta fatica nulla viene sprecato... ogni piatto cucinato viene gustato e giudicato attentamente dalla «squadra» (e in questa occasione anche dall'ospite), i primi e più severi critici del prodotto finale.





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