mercoledì 28 ottobre 2015

LE FRATTAGLIE



Le frattaglie, specie il fegato ed il rene, sono ricche di  tiamina (B1), riboflavina (B2), niacina (PP), piridossina (B&), acido pantotenico, acido folico, vitamina B12 e vitamina A e sono altresì ricche di sali minerali come ferro, zinco e rame.
Le cervella  sono un alimento piuttosto ricco di grassi e colesterolo (ne contengono da 2 a 4 volte in più rispetto alle altre frattaglie). Il contenuto in proteine è scarso (10%). Tra le cervella dei vari animali, quelle di vitello sono le più ricercate per il loro sapore delicato, così come quelle di abbacchio. Le cervella di bue e di maiale hanno un sapore più forte. E' bene, tenerle a bagno in acqua e succo di limone per 1-2 ore in modo da togliere ogni residuo di sangue.

Cibo ricco di grassi e di facile masticazione.

Sconsigliato ai soggetti sofferenti di ipercolesterolemia.

Spesso poco gradite per il loro gusto un po’ “forte” hanno però un buon valore nutritivo e quasi sempre un elevato valore commerciale. Con il termine frattaglie si indicano tutte le parti commestibili asportate dalla carcassa dell'animale (visceri, organi interni, ghiandole), che costituiscono il cosiddetto "quinto quarto alimentare" ottenuto dalla macellazione.
Nel pollame le frattaglie sono denominate regaglie e comprendono solo alcuni organi (cuore, fegato e ventrigli).
Molto apprezzate in paesi come la Germania e la Svizzera, dove costituiscono la base di numerose preparazioni gastronomiche, sono ingiustamente sottovalutate nel nostro paese, forse per carenza di informazioni sul loro reale valore nutritivo. Rappresentano infatti un'ottima alternativa alle carni, sia dal punto di vista nutrizionale, in quanto sono ricche di proteine e di altri principi nutritivi (vitamine e sali minerali), sia dal punto di vista economico, perché costano indubbiamente meno della carne. Le frattaglie vengono suddivise in due categorie, frattaglie rosse e frattaglie bianche, in relazione al diverso contenuto in mioglobina ed emoglobina; quelle rosse comprendono fegato, cuore, rognone (reni), milza, polmone e lingua, quelle bianche cervello, animelle e trippa.

Il fegato è la frattaglia più ricca in principi nutritivi: 100 g di fegato contengono oltre alle proteine (21 g), elevate quantità di vitamine, specialmente A (10-30 mg), B1 (0,3-0,4 mg), B2 (3,3 mg), C (30 mg) e D (il cui contenuto varia da stagione a stagione a seconda che l'animale abbia o meno pascolato all'aperto). Notevole è il contenuto in sali minerali, soprattutto ferro (8,8 mg ogni 100 g di carne bovina) che lo rende particolarmente adatto all'alimentazione degli adolescenti e delle donne in gravidanza. La quantità di lipidi presenti è piuttosto limitata (4%). Il fegato è tanto più tenero quanto più giovane è l'animale da cui proviene; il fegato di vitello è pertanto più pregiato di quello di manzo. Tuttavia, dato il diffuso impiego di antibiotici ed estrogeni negli allevamenti intensivi di vitelli, c'è il rischio di assumere residui di tali sostanze, accumulate nel fegato, con conseguenze spesso preoccupanti per l'organismo. È quindi preferibile consumare il fegato di agnello o di pollo, ottimi dal punto di vista nutrizionale e organolettico, e meno pericolosi per quanto riguarda l'assunzione di sostanze spesso tossiche. Il fegato di cavallo e di maiale è più ricco in proteine rispetto a quello bovino (22,4%); il contenuto in ferro è elevatissimo nel fegato di maiale (18 mg per 100 g). Il fegato, come tutte le frattaglie, è soggetto a rapido deterioramento e deve essere consumato freschissimo; al momento dell'acquisto deve apparire duro e compatto, di colore bruno, non troppo intenso e la membrana che lo riveste deve essere liscia e brillante. Il metodo di cottura più indicato è alla griglia; è consigliabile non prolungare troppo la cottura per evitare che la carne diventi dura e coriacea. Dato il notevole contenuto in purine (sostanze estrattive precursori dell'acido urico) è controindicato per i gottosi, gli anziani e gli uricemici.
Il valore nutritivo del cuore privo di grasso, nutriente ed economico, è paragonabile a quello della polpa di manzo; contiene circa il 17% di proteine e il 13% di grassi ed è ricco di vitamina B1. Per valutare lo stato di freschezza basta assicurarsi che la carne abbia consistenza soda e compatta e colore rosa.
Il cuore può essere preparato, come il fegato, alla griglia, arrosto o in umido; richiede però una cottura più prolungata per la minor tenerezza.



Il rognone è il rene degli animali, dalla caratteristica forma a fagiolo con aderenze di grasso. Si utilizza principalmente il rognone di vitello per la maggior tenerezza e sapidità; di buon valore nutrizionale, contiene una discreta quantità di proteine (18%); vitamine e sali minerali in adeguate proporzioni e una limitata quantità di lipidi (4,6%). Come il fegato e il cuore deve essere consumato fresco, occorre pertanto accertarsi, al momento dell'acquisto, che il grasso sia di colore bianco e di consistenza soda.
Prima di cucinare il rognone, si consiglia di lavarlo ripetutamente con acqua corrente per eliminare il caratteristico odore piuttosto sgradevole che potrebbe trasmettersi alla pietanza. Si presta a svariate preparazioni ed è controindicato per chi soffre di uricemia.
Il polmone, di natura essenzialmente proteica (contiene circa il 14% di proteine), con limitata presenza di grassi (2%), è un alimento poco digeribile per la struttura troppo compatta.
Si consuma prevalentemente il polmone di vitello, che si distingue per il colore rosa chiaro, che diventa rosso più o meno intenso nell'animale adulto. Può essere utilizzato (tritato) per insaporire le minestre.
La milza presenta un buon contenuto proteico (18,5%) e una limitata quantità di grassi (3,7%). Insieme al fegato è la frattaglia più ricca di ferro, è però scarsamente utilizzata per l'alimentazione umana se si eccettuano alcune preparazioni tipiche regionali.
La lingua rispetto ad altre frattaglie non possiede un gran valore nutritivo: contiene il 17% di proteine e poco più di grassi, scarso è il contenuto vitaminico e minerale. La lingua può essere consumata sia allo stato fresco che conservata (salmistrata, affumicata). Prima di cucinarla è necessario raschiarla e farla spurgare per circa un'ora in acqua corrente. La lingua può essere cucinata lessata, brasata o in umido; se lessata richiede circa 2-3 ore di cottura ed è abbastanza digeribile.

Il cervello è meno ricco di proteine (10%), rispetto ad altre frattaglie, contiene più grassi (13%) e una notevole quantità di vitamine e sali minerali (calcio e fosforo in particolare). La consistenza morbida lo rende adatto anche ai bambini e agli anziani. Il cervello è l'organo più ricco di colesterolo, è dunque controindicato per quanti soffrono di arteriosclerosi. Si utilizza principalmente il cervello di vitello o di agnello. Prima di essere cucinato deve essere liberato dal sangue, va perciò lavato con succo di limone e tenuto in acqua fredda per mezz'ora; tale operazione deve essere ripetuta dopo aver eliminato la pellicola che lo riveste. Può essere cucinato fritto o bollito.
Le animelle comprendono le ghiandole salivari, il timo e il pancreas. Sono un alimento di facile digestione, ricco di vitamine e sali minerali (fosforo in particolare). Vanno consumate freschissime e possono essere somministrate anche ai bambini a partire dal secondo anno d'età. Il notevole contenuto in purine ne sconsiglia il consumo ad anziani, gottosi e uricemici.
La trippa comprende lo stomaco dei ruminanti e la parte superiore dell'intestino tenue. Di discreto valore nutrizionale, fornisce il 16% di proteine ed il 5% di grassi, è molto apprezzata in alcune gastronomie regionali (la famosa "busecca" milanese). Richiede una prolungata cottura; per qualunque preparazione occorre prima lessarla per renderla più digeribile.






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I DATTERI




Il dattero è il frutto tipico dell'Africa mediterranea, Israele e di paesi dell'Asia occidentale, originario della zona mediorientale del delta dei fiumi Eufrate e Tigri.

La palma da dattero comincia a fruttificare a partire dal terzo anno d'età e può vivere oltre i trecento anni, arrivando a produrre, nelle annate migliori, fino a cinquanta chili di datteri.

Si tratta di bacche carnose ovate alle estremità, dal sapore molto dolce e gradevole. Il nome “dattero” deriva dal greco daktilos, che significa dito.
I datteri presentano una forma oblunga di colore marroncino-brunastro; al loro interno, contengono un unico seme legnoso, duro ed appuntito; sono avvolti da una sottile e fragile pellicola. I datteri, nelle spighe, si riuniscono in grappoli fitti  da 200 o addirittura 1.000 frutti ciascuno.
Esistono due tipologie di datteri, a polpa dura o molle: i primi sono particolarmente rinomati dai Paesi Arabi, dunque maggiormente coltivati e commercializzati. I datteri a pasta molle, più carnosi, sono apprezzati in particolare nei Paesi Europei ed Americani.
La maggior parte dei datteri viene sottoposta ad un processo di essiccazione, al fine di aumentare la concentrazione zuccherina e di prolungarne i tempi di conservazione. Ad ogni modo, alcune varietà di datteri (si ricordano: Berhi e Hiann) si rivelano adatte per essere consumate fresche. I datteri d'Israele sono sicuramente i più pregiati, carnosi e grossi

La palma da dattero si sviluppa rapidamente: le radici, possenti, scavano nel terreno sostenendo il corpo della pianta e cercando nutrimento negli strati più profondi del suolo.
Il tronco della palma da dattero, ruvido e rugoso, è rivestito da squame, residui dei peduncoli di foglie vecchie. Le foglie, fronde rigide verdastre lunghe anche tre metri, costituiscono una sorta di corona sulla cima dell'albero, tipica caratteristica delle palme. I fiori, raggruppati in pannocchie, sono piccoli e gialli, mentre i datteri sono frutti dolci contenenti un seme legnoso.

Si consuma sia fresco che essiccato. Dal dattero si ricava un particolare tipo di miele ed alcolici derivati dalla sua fermentazione, come ad esempio l'arrak.

Il dattero è conosciuto da molti soltanto come una vera e propria bomba calorica; pochi sono a conoscenza delle numerosissime proprietà terapeutiche di questo frutto di di Phoenix Dactylifera, tanto straordinarie e prodigiose quanto sconosciute ed ignorate.



Dato l'elevato potere energetico, il consumo di datteri è sconsigliato per chi segue un regime alimentare ipocalorico, mentre può essere raccomandato durante le diete energetiche, in particolare in caso di debilitazione fisica e di affaticamento: i datteri secchi forniscono, infatti, circa 253 calorie per 100 grammi. Sono costituiti dal 50-70% di zuccheri (carboidrati), 20-30% di acqua, 2,7% di proteine e 0,60% di grassi. Visto lo scarso contenuto in proteine, i datteri sono adatti anche nelle diete ipoproteiche.
Inoltre, la polpa del frutto è fonte di magnesio: la palma da dattero - in particolare delle zone sahariane - cresce in terreni ostili, sabbiosi e ricchi di Sali di magnesio. A tal proposito, il dattero, che come una spugna assorbe i minerali del terreno, rappresenta una miniera di questo importante minerale (contiene all'incirca 50-60 mg di magnesio per 100 g di prodotto).
Ad ogni modo, il magnesio non rappresenta l'unico minerale contenuto nel dattero; si ricorda anche il ferro, il potassio, il rame, lo zinco, il calcio, il manganese ed il fosforo.
Ad eccezione della tirosina, il dattero contiene anche tutti gli aminoacidi essenziali, seppur in modiche quantità. I datteri contengono anche una modesta quantità di vitamine, soprattutto quelle del gruppo B (B1, B2 e B6).

Chiaramente, i datteri possono essere gustati “al naturale”, avendo cura di prelevarne il seme appuntito prima di mangiare il frutto; in ambito culinario, i datteri si abbinano perfettamente a formaggi e mascarpone, oppure a frutta secca come noci, mandorle o nocciole. Ancora, i datteri sono utilizzati anche per decorare dessert.

Sono ricchi di ferro, vitamine e sali minerali. Contengono zuccheri naturali che li rendono adatti per dolcificare alimenti e bevande. Il consumo regolare di datteri può contribuire ad abbassare il colesterolo. Sono inoltre un vero e proprio antinfiammatorio naturale adatto in caso di raffreddore e irritazioni alle vie respiratorie.

I datteri non contengono colesterolo e presentano una scarsa quantità di grassi. Rappresentano una buona fonte di fibre vegetali e di vitamine del gruppo B, come la vitamina B1, B2, B3 e B5. Contengono inoltre vitamina C. Contribuiscono al buon funzionamento del sistema digestivo, per via della presenza di fibre sia solubili che insolubili e di differenti tipologie di amminoacidi.

Sono una fonte di energia immediatamente a disposizione dell'organismo, per via del loro contenuto di zuccheri naturali, come il fruttosio. Per questo motivo potrete utilizzarli per preparare una colazione energetica, nei frullati di frutta o spezzettati in abbinamento con frutta e cereali per creare un muesli casalingo.

Rappresentano uno spezzafame salutare, soprattutto se si fa attenzione ad evitare i datteri conservati con additivi artificiali e sciroppo di glucosio. Inoltre sono una buona fonte di potassio e risultano allo stesso tempo poveri di sodio. Ciò li rende utili per favorire il buon funzionamento del cuore e della circolazione del sangue.

Sono ricchi di ferro e il loro consumo può risultare utile in caso di anemia. Ecco un rimedio naturale da preparare con i datteri. Chi soffre di stipsi, può provare ad immergere qualche dattero in un bicchiere d'acqua per tutta la notte e a consumare sia il liquido ottenuto, dopo averlo filtrato, che i frutti stessi al mattino per risvegliare l'intestino.

Questi preziosi frutti sono inoltre parte di un rimedio afrodisiaco di origine indiana, che consiste nell'immergere una manciata di datteri nel latte di capra per tutta la notte. Al mattino dovrete frullare i datteri insieme al latte ad aggiungere un po' di miele e semi di cardamomo in polvere, prima di bere il tutto. Chi volesse sperimentare, potrebbe provare a sostituire il latte di capra con del latte vegetale.

Il consumo di datteri è benefico per la vista e per proteggere gli occhi. La loro assunzione, secondo la medicina naturale, può essere utile in caso di tumori a livello dell'addome. In ogni caso i datteri rappresentano un rimedio naturale privo di effetti collaterali. Potrebbero esservi alcune restrizioni nel loro consumo in caso di diabete o di diete particolari. Nel dubbio, è bene consultare il proprio medico.

Per utilizzare i datteri al meglio, potrete ammorbidirli in acqua e frullarli per dolcificare bevande naturali, succhi di frutta, dolci e biscotti. I datteri possono essere consumati sia freschi che essiccati. I migliori sono di provenienza biologica, essiccati al sole e non trattati con sostanze industriali per la conservazione. Tritateli o spezzettateli per utilizzarli come ingredienti nelle vostre torte, per sostituire almeno in parte lo zucchero.

Li potrete aggiungere nella preparazione casalinga delle marmellate, per dolcificarle con un ingrediente del tutto naturale. Un'idea golosa consiste nel rimuovere il nocciolo da datteri e sostituirlo con una mandorla: ecco pronto uno spezzafame salutare per la merenda o un piccolo dessert. Uno snack a base di datteri è un ottimo integratore di magnesio e potassio per gli sportivi durante o dopo gli allenamenti e per tutti nel corso della giornata.





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martedì 27 ottobre 2015

LA CARNE ROSSA



L'Oms, con i dati forniti dallo Iarc, ha definito le carni lavorate come wurstel, pancetta, prosciutti, salsicce, carne in scatola, secca o preparati a base di sughi di carne come "cancerogene" e le ha inserite nel gruppo 1 delle sostanze che causano il cancro a pericolosità più alta come il fumo e il benzene. Inserendo nella lista delle "probabilmente cancerogene" anche le carni rosse.

Per la prima volta la massima autorità internazionale in tema di cancro, lo IARC, ha messo nero su bianco che la carne può causare diversi tumori. Secondo le conclusioni redatte dai 22 esperti che compongono il board di valutazione, si afferma che “ci sono evidenze sufficienti a lasciar pensare che il consumo di carni processate causi il tumore del colon-retto”. Non solo, il legame è stato riscontrato anche per i tumori del pancreas e della prostata. Una relazione che, occorre sottolinearlo, è dipendente dalle quantità consumate.
Bacon e salsicce sono accanto ad arsenico, tabacco e amianto per capirsi – nel gruppo 1, quelli più pericolosi per la salute umana – mentre la carne rossa è finita appena un gradino sotto, nel gruppo 2A, quello dei probabilmente cancerogeni. La notizia era scoppiata venerdì scorso, quando dalle pagine del Daily Mail era partito l’attacco a bacon, salumi e salsicce e le anticipazioni raccolte da una fonte ben informata sono state confermate. Anche se si tratta di effetti sospettati già da tempo.

Avrebbe poco senso riportare la condanna senza prendere in considerazione tutte le valutazioni fatte dagli esperti dello Iarc sul rischio del consumo di carne rossa, basate sulla revisione della letteratura finora disponibile in materia (più di 800 studi relativi a una dozzina di tipi di tumori, condotti su diverse popolazioni con diverse abitudini alimentari).

I sospetti di cancerogenicità sono stati concentrati soprattutto sulle carni lavorate, quelle cioè sottoposte a salatura, essiccatura, affumicatura, aggiunta di conservanti, preparati per lo più con carni rosse (come maiale e manzo), ma anche con pollame, frattaglie o altri carni rosse. Per capirsi: wurstel, prosciutto, pancetta, salsicce, carni e sughi in scatola, che rispetto al prodotto fresco o cotto in maniera tradizionale hanno un contenuto maggiore di sale e conservanti, tra l’altro.

La valutazione è al solito basata sugli studi epidemiologici che mostrano lo sviluppo del cancro negli esseri umani esposti all’agente. Nel caso delle carni lavorate, questa classificazione si basa su dati provenienti da studi epidemiologici sufficienti a provare che mangiare carne lavorata provochi cancro del colon-retto”. Nel dettaglio, per dare l’idea di quanto agente causi quanto male: ogni 50 grammi di carne lavorata mangiata ogni giorno aumenta il rischio di cancro colon-rettale del 18%. “Per un individuo, il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto a causa del consumo di carne lavorata rimane piccolo, ma questo rischio aumenta con la quantità di carne consumata”, ha commentato Kurt Straif, l’esperto a capo dello Iarc Monographs Programme.



Associazioni con il rischio di cancro al colon, ma anche per quello al pancreas e alla prostata sono state osservate anche per la carne rossa non lavorate: manzo, vitello, maiale, agnello, montone, cavallo, capra (rosse per l’elevato contenuto di due proteine, l’emoglobina e la mioglobina, che legano l’ossigeno nel sangue e nei muscoli grazie ad una molecola, l’eme contenente a sua volta un atomo di ferro che imbriglia l’ossigeno). In questo caso però il legame, sebbene forte, è ancora limitato, ribadiscono gli esperti, per affermare un legame di causa-effetto tra consumo di carni rosse e cancro. Tanto che vitello, maiale e compagni finiscono nel gruppo 2A della Iarc: probabilmente cancerogeni. A voler anche qui prender le misure del rischio – nota bene: se le correlazioni osservate fossero dimostrate di natura causale per carni rosse e cancro al colon – il rischio di tumore aumenterebbe di circa il 17% per ogni 100 grammi di carne rossa mangiata quotidianamente.

A voler invece pesare l’impatto a livello globale di carni lavorate e carni rosse, secondo le stime degli esperti circa 34mila morti per cancro ogni anno nel mondo sono dovute a diete ad alto consumo di carni lavorate, a cui se ne aggiungerebbero altri 50mila dovute a diete ad alto consumo di carni rosse (sempre ammettendo la conferma del nesso causale, ancora mancante in questo caso). Per puro confronto: ogni anno il fumo causa un milione di morti per cancro, l’alcol 600mila e 200mila quelle dovute all’inquinamento. Per dire: fumo e carne rossa sono nella stessa lista, ma questo non significa che la carne lavorata sia dannosa come il tabacco.

Come carni processate e carni rosse aumenterebbero il rischio cancro non è ancora ben chiaro. Il gruppo eme di emoglobina e mioglobina (e non le proteine in sé: quelle animali sono fatte degli stessi amminoacidi di quelle vegetali) è tra i maggiori imputati per gli effetti negativi della carne rossa, per capacità pro-infiammatorie e perché indurrebbe la formazione di sostanze cancerogene a livello intestinale. Ma anche i composti che si formano durante la cottura e la preparazione delle carni (alcuni già noti o sospetti cancerogeni) contribuirebbero agli effetti negativi della salute (come gli idrocarburi policiclici aromatici, composti con gruppo n-nitroso o ammine eterocicliche).

Tutto questo, ribadiscono infine dalla Iarc, non significa affatto che la dieta migliore sia quella vegetariana, o che l’unico consumo di proteine animali debba limitarsi a pesce e pollo. “La carne rossa ha un valore nutrizionale”, commenta in proposito Christopher Wild, direttore della Iarc: “Questi risultati sono importanti per consentire ai governi e alle agenzie regolatorie internazionali di condurre valutazioni di rischio, allo scopo di bilanciare i rischi e i benefici di mangiare carne rossa e carni lavorate e per fornire le migliori possibili raccomandazioni dietetiche”.

Va da sé che qualcosa oggi la Iarc lo ha detto: meglio limitare il consumo di carne. A quanto non è ancora chiaro, ma non è escluso che le dosi massime consigliate di carne rossa a settimana (dai 160-300 grammi) vengano riviste al ribasso.

“La Iarc conferma dati che conoscevamo da tempo ovvero che la presenza di conservanti o di prodotti di combustione in questi alimenti è legata ad alcuni tipi di tumore”, ha commentato Carmine Pinto, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom): “Per quanto riguarda le carni rosse è una questione di modalità e di quantità, non esiste una ‘soglia di esposizione’ oltre la quale ci si ammala sicuramente. Il messaggio che dobbiamo dare è che la carne rossa va consumata nella dovuta modalità, una o due volte a settimana al massimo. Il messaggio principale è invece un invito a tornare alla dieta mediterranea, che ha dimostrato invece di poter diminuire il rischio di tumore”.

Le conclusioni non sono di certo una novità e rappresentano un motivo in più per intraprendere la strada vegetariana. Da anni la Fondazione Veronesi promuove il messaggio che smettere di mangiare carne è salutare per l’uomo. Ormai ci sono pochi dubbi che un regime alimentare povero di carne e ricco di vegetali sia più adatto a mantenerci in salute. Frutta e verdura rispondono perfettamente ai bisogni del nostro organismo e contribuiscono a proteggerlo. In questi prodotti della terra si hanno risorse preziose, vitamine, antiossidanti e inibitori della cancerogenesi come i flavonoidi gli isoflavoni. Studiando le funzioni protettive delle molecole contenute in alcuni alimenti, come il licopene nei pomodori maturi contro i tumori della prostata, il resveratrolo nell’uva per i tumori gastro-intestinali, gli isotiocianati e l’indolo delle crucifere che hanno mostrato un’azione antitumorale in varie forme di cancro. Non solo, i valori pressori dei vegetariani sono nettamente più bassi, sia come “massima” che come “minima”, rispetto a quelli delle persone onnivore.
I vegetariani tendono ad avere uno stile di vita più salutare in genere, non fumare, bere poco, fare movimento, per cui è difficile attribuire certi benefici alla sola alimentazione. Ma tutte le evidenze puntano lì: chi mangia poco e vegetariano vive più a lungo e più in salute. Per contro diversi dati scientifici indicano da tempo un nesso fra il consumo di carni, specie quelle rosse e lavorate, e alcune malattie croniche, come tumori o patologie cardiovascolari. Lo stesso dicasi per l’obesità”.

Siamo ormai 7 miliardi di esseri umani che hanno il diritto a cibo e acqua pulita, un miliardo di persone soffre la fame e la denutrizione, mentre un miliardo soffre delle malattie della sovralimentazione, come diabete, cardiopatie, tumori: non possiamo più permetterci di consumare 15mila litri d’acqua per ogni chilo di carne prodotto (“ne bastano mille per produrre un chilo di cereali”), né di destinare quasi la metà delle calorie prodotte in agricoltura a carburanti e mangimi per 4 miliardi di animali d'allevamento oltre a 20 miliardi di polli.




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domenica 25 ottobre 2015

BEVIAMO LA PLINPLIN



Secondo i sostenitori dell’urinoterapia l’uomo già in passato ha usato questo liquido, in genere considerato di scarto, per curare diversi mali. Effettivamente esistono prove che gli antichi usassero l’urina a scopo medicinale: sia nell’antica Grecia con Galeno che in tempi Romani con Plinio il Vecchio l’urina era usata su ustioni e ferite di varia natura, come i morsi di animali, nonché come sbiancante per i denti. L’utilizzo di urina non fa parte solo della civiltà occidentale: in India la medicina ayurvedica ha usato a lungo questo elisir. Fonti ignote vorrebbero che lo stesso Gandhi nel corso dei suoi digiuni fosse solito berne un bicchiere al giorno. D’altronde anche Shri Moraji Desai, primo ministro in India dal 1977 al 1979, ha sempre affermato di essere un convinto sostenitore dell’urinoterapia e ha inviato il popolo indiano a bere un bicchiere di urina al giorno per rinvigorire il proprio corpo.

In genere una persona sana produce da 1,2 a 2 litri di urina al giorno, che potrebbero rappresentare un piccolo tesoro piuttosto che scivolare via a suon di sciacquone. Se secondo alcuni studi potrebbe essere usata come carburante o anche trasformata in acqua potabile tramite un processo di osmosi, per i sostenitori dell’urinoterapia, o autouroterapia, l’urina rappresenta un rimedio di medicina naturale per stomaci forti.

Ma la scienza lo conferma: bere urina non ha alcun effetto benefico sulla salute. Anzi, sebbene sia composta al 95% da acqua, nel restante 5% ce n’è abbastanza da procurare seri problemi: elettroliti in eccesso, cloro, sodio, potassio.
«É un po’come bere l’acqua di mare» spiega Jeff Julian, un nefrologo del South Denver Nephrology Associates in Colorado, «causa disidratazione e fa più male che bene».

Ma nei casi estremi? Dan Woolley è sopravvissuto per oltre 65 ore sotto le macerie di un hotel di Haiti distrutto dal terremoto bevendo la propria urina, come hanno fatto molte altre persone che si sono trovate in situazioni analoghe.
Medici ed esperti di sopravvivenza non hanno una visione unanime della faccenda: il manuale di emergenza dell’esercito americano classifica bere la propria pipì tra le attività da non fare mai.
Nelle situazioni estreme la disidratazione rende infatti la pipì ancora più ricca di elettroliti e acidi e quindi ancora più dannosa per la salute.

In netto contrasto con la medicina tradizionale che ritiene l’urina tossica per il corpo umano, e quindi assolutamente da non ingerire, coloro che sono a favore dell’urinoterapia la considerano invece un liquido vitale, ricco di sostanze benefiche. L’organismo, infatti, digerisce alimenti e bevande all’interno dell’apparato digerente, un insieme di viscere protette dal resto dell’organismo, per cui non ci sarebbe contaminazione. Inoltre l’urina è ricca di sostanze nutrizionali che per qualche ragione vengono considerate in eccesso dai reni e scartate. In questo modo, però, non solo c’è modo di recuperarle ma possono diventare un’arma offerta dall’organismo stesso contro le malattie.



L’urina è quindi una cura per tutti i mali? Secondo chi sostiene la validità dell’urinoterapia si, o quasi. L’urina può essere utilizzata in diversi modi: sia come tisana che sottoforma di impacchi e frizioni, ma anche per clisteri. Se assunta in modo corretto può curare il cancro come i problemi cardiaci, ma anche l’Aids, le allergie, il diabete, le infezioni e qualunque altra malattia venga in mente. In questi casi ovviamente bisogna assumerla per via orale, mentre nel caso di ferite e ustioni si può applicare direttamente sulla parte interessata. Se invece il problema riguarda naso, occhi o orecchie, allora se ne possono instillare alcune gocce direttamente in loco. L’urina aiuta non solo a essere più sani, ma anche più belli: se si desidera una pelle setosa non si deve far altro che cospargere la pelle con questo fluido, mentre per denti più bianchi non c’è che da usarla per i gargarismi una volta al giorno.

Se l’urina ha l’indubbio vantaggio di essere un elisir facilmente reperibile e a costo zero, il suo uso ha regole specifiche da rispettare. Ogni scuola di urinoterapia ha le sue, ma le più diffuse vogliono che non si usi l’intero flusso della minzione ma solo la sua parte centrale. Inoltre non va diluita con acqua o altre sostanze, come succhi di frutta. Per evitare brutti sapori, e assicurarsi che sia pura, è bene evitare fumo e alcol, e iniziare, un paio di giorni prima dell’urinoterapia, una dieta a base di sola frutta e verdura, meglio se cruda, o di soli liquidi. Per purificare a fondo l’organismo si può anche ricorrere a clisteri che contengano tre bicchieri di urina per due litri d’acqua. L’ideale è bere urina fresca a digiuno al mattino, ma si può anche berla più volte al giorno o usare l’intera produzione giornaliera affinchè nulla venga sprecato.

La medicina ufficiale non riconosce questo metodo naturale, avendo messo a punto negli anni ben altri strumenti per dare al corpo umano le sostanze e le cure di cui ha bisogno. Ad esempio, se è vero che nell’urina possono finire alte concentrazioni di vitamine che il corpo non ha assimilato perché reputate non necessarie, si può ricorrere a un integratore piuttosto che bere la propria urina. Il risultato sarà sempre l’espulsione della vitamina in eccesso tramite la minzione, evitando, però, di bere urina.

Gli esperti, come Helen Andrews del British Dietetic Association, hanno spiegato che “Non ci sono benefici per la salute: anzi, bere urina potrebbe essere deleterio. Ogni volta che è ingerita è espulsa di nuovo, ma più concentrata, causando così possibili danni e complicazioni ai reni a causa dei sedimenti dei sali minerali.”

Nessuno studio adeguato, pubblicato nella letteratura scientifica disponibile, dimostra le rivendicazioni che l'uroterapia sia in grado di controllare o di invertire la progressione del cancro.



Il possibile ricorso all'urinoterapia per le presunte attività anti-cancro ha verosimilmente inizio a metà degli anni 1970, a seguito delle segnalazioni di un medico greco, Evangelos Danopolous. Il dottor Danopolous sostenne di aver trattato con successo, in termini di maggiore aspettativa di vita, alcuni pazienti affetti da cancro alla pelle al labbro ed al fegato utilizzando un composto di sua invenzione basato sull'urina. Un'ulteriore segnalazione sulla presunta attività anti-cancro dell'urinoterapia si deve ad un lavoro di Joseph Eldor, nel 1997, su una rivista scientifica di marginale importanza: Medical Hypotheses. Lo scopo dichiarato di questa rivista, utilizzando le parole del fondatore, il dottor David Horrobin, è quello di pubblicare lavori basati su "alcune ipotesi in cui il supporto sperimentale è ancora frammentario". Fino al 2010, la rivista non utilizzava il metodo editoriale "peer review" (in cui l'articolo viene prima valutato da parte di una o più persone di competenza pari a quella dell'autore), e divenne nota perché molti articoli pubblicati non ottennero consenso scientifico, in particolare quelli sulle cosiddette teorie "negazioniste" e sulle ipotesi alternative sull'AIDS, sull'eiaculazione come potenziale trattamento della congestione nasale nei maschi adulti, sulla possibile relazione tra schizofrenia ed uso di scarpe con i tacchi ed altre.

In ogni caso il dottor Eldor con il suo lavoro sostenne che, poiché gli antigeni cellulari di alcuni tumori passano nell'urina, ricorrendo all'urinoterapia questi antigeni potrebbero essere introdotti e presentati al sistema immunitario, il quale potrebbe quindi essere indotto a creare anticorpi contro di essi.

Insomma le evidenze scientifiche ad oggi disponibili non supportano in alcun modo l'ipotesi di chi sostiene che l'urina, somministrata in qualsiasi forma, siano utili ai pazienti oncologici. Peraltro, in letteratura medica, in anni anche molto antecedenti il lavoro di Eldor, erano già apparsi numerosi lavori che attestavano come l'urinoterapia, anche se ben tollerata, fosse in realtà inefficace nel trattamento delle metastasi al fegato del cancro colorettale.





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martedì 20 ottobre 2015

CIBO E AMORE



Il reale funzionamento delle sostanze afrodisiache presenti negli alimenti non è ancora del tutto chiaro, ma sembra proprio che aggiungere con regolarità un pizzico di peperoncino o di zafferano ai nostri piatti possa garantire gli effetti sperati.

Si suole distinguere, oggi come in passato, tra sostanze afrodisiache - o afrodisiaci - e cibi dalle virtù afrodisiache: le prime sono prese in considerazione dalla farmacologia o dallo studio dei miti; i secondi vengono in conto nei campi della dietetica e della gastronomia.

Una vera e propria cucina (e non soltanto una dieta) afrodisiaca nasce nella seconda metà del XVII secolo, quando si comincia a dar peso, oltre che alle materie prime, alle preparazioni. Mentre l'inventario degli alimenti afrodisiaci si arricchisce di inediti cibi esotici (dai nidi di rondine alle pinne di pescecane) e si afferma la moda di profumare vini e piatti con ambra, muschio e zibetto, gli affaticati e gli insensibili affidano le loro speranze, piuttosto che a singoli alimenti, a un'esasperata alchimia di sapori e aromi. È soprattutto in Francia, nell'età delle «favorite», che si stabiliscono e si affinano le regole della cuisine d'amour. Attribuite alle più celebrate amanti dei sovrani francesi (ma in realtà elaborate, in tempi diversi, nelle cucine regali), sopravvivono numerose ricette che ne immortalano il nome: dalle «Costolette alla Maintenon» ai «Filetti di sogliola alla Pompadour», alla «Suprème di sogliola alla d'Estrée», ai vari piatti intitolati alla contessa du Barry, favorita di Luigi XV.

La cuisine d'amour - che accredita la Francia come la patria d'elezione di entrambe le «discipline» - è rinverdita e rilanciata prima da Anthelme Brillat-Savarin e, più in là, dal sedicente Sire de Baudricourt, il cui fantasioso e fortunato trattatello diverrà il modello di tutti i successivi manuali di cucina afrodisiaca. Tra questi andranno almeno ricordati La cucina dell'amore del catanese Omero Rompini (1926), documento garbato, saporoso e un po' patetico della stagione del tabarin, e Venere in cucina di Pilaff Bey, pseudonimo dello scrittore inglese Norman Douglas, un ricettario secco e alquanto riciclatorio compilato in Italia, per uso personale, tra il 1902 e il 1936 e pubblicato nel 1951 con la prefazione di Graham Greene.

I più recenti ricettari di cucina afrodisiaca sono le Ricette immorali dello scrittore spagnolo Manuel Vazquez Montalban: un ricettario eclettico infarcito di divagazioni divertenti, sdrammatizzanti e un po' surreali, e Afrodita di Isabel Allende, una chiacchierata alla buona sulla cucina, il sesso e i loro eventuali rapporti, inframmezzata da citazioni storico-letterarie, ricordi personali, consigli di buon senso e fantasie cautamente perverse.

È convinzione antica e radicata che gli alimenti influiscano positivamente o negativamente sugli stimoli e sulle prestazioni sessuali. «Sine Bacco et Cerere frigescit Venus», sentenziavano i romani. San Girolamo, seppure per opposte preoccupazioni, era della stessa opinione: «All'avidità di cibo si accompagna sempre la lascivia». Come il satollarsi «scaccia la castità» - aggiungeva sant'Ambrogio - così «la fame è amica delle verginità e nemica della lussuria». Nei monasteri medievali il consumo della carne era severamente interdetto, al punto che chi la toccava (di norma i vecchi e i malati) veniva isolato e sottoposto a sanzioni; nelle abbazie più rigoriste si arrivava a negargli la confessione e la comunione: ciò perché si riteneva che la carne, e soprattutto quella di quadrupede, attentasse alla continenza.



Le liste di proscrizione degli ordini monastici, incrociate con le raccolte di rimedi e «segreti» per i debilitati e i frigidi (il ricettario di Caterina Sforza, per esempio), ci consentono di redigere il catalogo degli alimenti considerati afrodisiaci - perché rinvigorenti o perché eccitanti - nel Medioevo come anche in età rinascimentale e barocca. Erano ritenuti risuscitatori della carne tutti i cibi «caldi», «ventosi» e «duri da digerire»: tra i vegetali, i ceci, le fave, le cipolle, i porri, i cavoli, le melanzane, le castagne, i pinoli, le mandorle, i fichi secchi, le spezie in genere e soprattutto i tartufi, che - a detta del medico Baldassarre Pisanelli - «aumentano lo sperma e l'appetito del coito»; tra i pesci e affini, le ostriche, i granchi di fiume e le uova di tutti i pesci; tra i grassi, il burro. Particolarmente efficace era giudicato il cervello di qualsiasi animale, e la carne dei piccioni e degli sfrenati passeri, capaci - secondo Aristotele - di «coire» ottantatré volte nel giro d'un'ora; erano reputati autentici toccasana, infine (e s'intende perché), i testicoli di toro e d'agnello, da cui in effetti specie se mangiati crudi è possibile assorbire una certa quantità di testosterone, i «granelli» di gallo e il membro del cervo.

Un cenno meritano anche il frumento e il mais, o meglio ancora la polenta, di cui solo recentemente sono state ipotizzate potenziali qualità afrodisiache. Il tegumento esterno del chicco di frumento (ciò che finisce in crusca, in altre parole) contiene infatti l'aleurone, una sostanza che ha appunto effetti «potenzianti» sull'uomo. Che siano dovute alla crusca che «respirano» le non comuni capacità amatorie attribuite ai mugnai? D'altra parte anche su chi mugnaio non è pare che l'effetto sia assicurato, visto che ancora oggi a Saint-Cast-le-Guildo (dipartimento Côtes-d'Armor, Francia) si parla del «mulino d'Anna» e del duca d'Aiguillon 1720, Francia - 1788, Francia, che nel 1758, durante la Guerra dei sette anni (1756-1763), proprio in quel mulino si coprì più di farina che di gloria.

Riguardo al mais, il suo effetto afrodisiaco sarebbe dovuto alla mancanza, in questo alimento (più unico che raro, sotto questo aspetto), del triptofano, una sostanza da cui viene sintetizzata la serotonina, che è un inibitore.

Proprietà stimolanti, legate probabilmente al loro effetto blandamente irritante sulle vie urinarie e sull'intestino, sono ancora riconnesse a molte spezie, tra cui il pepe e la noce moscata; così come all'uso gastronomico del cacao e del ginseng per i relativi effetti tonici o eccitanti.

Non vanno dimenticati infine i «pousse l'amour», cocktail per così dire alimentari, ottenuti versando in un bicchiere da sherry un tuorlo d'uovo e, senza mescolarli, ma facendo in modo che risultino stratificati, liquori (freddi, ma non ghiacciati) dai colori diversi (ad esempio, nell'ordine, 1/3 di maraschino, un tuorlo d'uovo, 1/3 di Bénédictine e 1/3 di cognac).

La maca, conosciuta anche come ginseng peruviano, è una pianta dalle note proprietà energizzanti e afrodisiache. Stimola la fertilità e viene utilizzata nel trattamento di disfunzioni o disturbi legati all'apparato sessuale maschile e femminile. Impotenza maschile e calo della libido sono alcuni dei principali campi di applicazione. Migliora la qualità e la mobilità degli spermatozoi e contribuisce a risolvere i problemi ormonali legati al ciclo mestruale.



Lo zenzero è un tonico ricostituente, adatto non soltanto contro l'affaticamento e l'astenia, ma anche in caso di impotenza. Le virtù afrodisiache attribuire allo zenzero riguardano soprattutto la sua capacità di stimolare la circolazione e di garantire un maggior afflusso di sangue verso gli organi sessuali. Il merito è di sostanze come il gingerolo e il zingiberene. In Cina viene considerato un vero e proprio viagra naturale.

Il peperoncino viene immediatamente associato al desiderio e alla passione. Agisce come vasodilatatore e migliora la circolazione. Innalza la temperatura corporea e tonifica le pareti delle arterie. Il potere afrodisiaco sarebbe garantito dal suo contenuto di capsaicina, la sostanza grazie a cui il peperoncino assume il caratteristico sapore piccante.

Sapevate che anche le mandorle sono un alimento afrodisiaco? Il merito è del loro contenuto di vitamina E, che agisce direttamente sul desiderio sessuale. Secondo la medicina naturale, le mandorle sono in grado di stimolare la fertilità e di incrementare la passione, soprattutto nelle donne.

Se le mandorle sono considerate un afrodisiaco femminile, gli asparagi rappresentano l'alimento perfetto per stimolare il desiderio maschile. Sono ricchi di potassio, di vitamine del gruppo B e di sostanze che favoriscono la produzione degli ormoni sessuali maschili e la virilità.

Le banane sono ricche di potassio e di vitamina B6, due componenti fondamentali per la formazione del testosterone. Sono dunque considerate il perfetto afrodisiaco maschile, oltre che una cura naturale contro l'impotenza e l'infertilità. Contengono, inoltre, particolari enzimi che aiutano ad incrementare la libido.

Le proprietà afrodisiache del tartufo sono note fin dall'antichità. Non esisterebbero, al momento, prove scientifiche della loro efficacia, ma soltanto ipotesi. E' possibile che il potere stimolante dei tartufi sia dovuto al loro contenuto di androsterone, una sostanza presente negli ormoni dei maiali maschi, che sarebbe in grado di attirare le scrofe. Per analogia con il mondo animale, si è ipotizzato che i tartufi siano afrodisiaci anche per l'uomo.

Il ginseng è un rimedio naturale noto in tutto il mondo, non soltanto come alimento tonico e stimolante, ma anche per le sue proprietà afrodisiache. Stimola la circolazione e migliora l'afflusso sanguigno verso gli organi sessuali. Il suo impiego come viagra naturale è diffuso in Oriente fin dall'antichità.

Tra i cibi afrodisiaci viene spesso citato il cioccolato, soprattutto se extra fondente e con fave di cacao. Il merito sarebbe proprio del cacao e del suo elevato contenuto di bioflavonoidi. Si tratta di sostanze in grado di dilatare le arterie e di favorire e la circolazione. Secondo una ricerca condotta in California, assumere 50 grammi di cacao al giorno migliora la circolazione sanguigna del 10%.

Per migliorare le prestazioni sessuali maschili potrebbe bastare un pizzico di zafferano, da assumere con regolarità. L'efficacia delle sostanze afrodisiache contenute nello zafferano non è ancora stata del tutto confermata. Non mancano però alcune certezze. Lo zafferano stimola la circolazione e risveglia i sensi.

Indubbiamente sono tra i cibi più sensuali da mangiare: una spruzzata di limone e poi basta avvicinare le labbra alla conchiglia e far dolcemente scivolare l’ostrica in bocca. Questo rituale renderà la cena davvero molto sensuale, ad aiutare ci pensa poi anche l’alto tasso di zinco presente nelle ostriche: il suo effetto? Aumentare la libido!

Le fragole non possono mancare in una cena romantica: perfette con il cioccolato, provatele ad accompagnare ad un calice di champagne e scoprirete tutta la loro dolcezza e tutti i loro poteri afrodisiaci!

Considerato un potentissimo afrodisiaco in molti Paesi del mondo, l’avocado non mancava mai dal menu di Re Luigi XV il quale viene ricordato anche per la sua fama di seduttore. Un solo pezzo di avocado è in grado di fornire l’energia necessaria per affrontare una lunga notte d’amore senza appesantire.








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lunedì 19 ottobre 2015

LE LUMACHE




Le chiocciole erano apprezzate persino dai Romani, nel  “De Re Coquinaria” di Apicio, c’è una narrazione che vede le lumache spurgate nel latte per diversi giorni prima della cottura e poi una volta gonfiate a tal punto che non rientravano nel guscio, le friggeva o le arrostiva servendole con varie salse.

Questi piccoli animaletti terreni sono stati sempre protagonisti di diatribe gastronomiche, considerate a tratti prelibatezze senza eguali ed a tratti piatto popolare e per bifolchi; addirittura Mosè nella Bibbia le descriveva come un alimento impuro. Per passare a tempi più moderni, è l’ottocento a porre indiscutibilmente le lumache in un ipotetico piedistallo gastronomico.

Il mercato delle chiocciole da gastronomia negli ultimi anni ha subìto notevoli trasformazioni. E’ a partire dai mutamenti degli anni ’70 dettati da legislazioni che quasi proibivano la raccolta delle lumache, che nasce l’allevamento a ciclo biologico completo per sopperire alla diminuzione e alla mancanza del prodotto che prima poteva essere reperito in natura. Dagli anni settanta ad oggi si è assistito ad un costante aumento dei consumi delle chiocciole da gastronomia crescendo anche le tecniche per chi come me vuole muoversi sul mercato italiano a bassi costi e nel rispetto più totale dell’ambiente, dando così vita ad un prodotto si più caro, ma con qualità e caratteristiche senza dubbio superiori al prodotto raccolto in natura.

Le differenze sostanziali risiedono negli alimenti utilizzati per la loro nutrizione che hanno il vantaggio di insaporire meglio il muscolo e di rendere la carne più tenera. Per quanto riguarda il prodotto allevato, da rilevare è l’omogeneità della pezzatura. Infine l’allevamento da la possibilità di avere a disposizione il prodotto tutto l’anno, dando vita ad un mercato ed un consumo non più stagionale come per il prodotto proveniente dalla raccolta.

In pochi sanno che la lumaca è un alimento dall’alto valore nutritivo e povera di grassi, di notevole digeribilità, formata in prevalenza da acqua, ricca di sali minerali e amminoacidi essenziali. Recentemente si è scoperto che la carne delle lumache favorisce l’eliminazione del colesterolo dall’organismo attraverso le vie biliari e grazie allo scarso apporto calorico la carne di lumaca può essere considerata un alimento consigliabile in tutte le diete ipocaloriche.



Le chiocciole - impropriamente chiamate "lumache di terra" - sono Molluschi Gasteropodi appartenenti all'Ordine delle Stylommatophora.
Le chiocciole hanno carni commestibili, oltre che prelibate, e in Italia vengono notoriamente impiegate a scopo alimentare. Le specie di "lumache" commestibili più utilizzate sono: Helix promatia (principale costituente delle famose "Lumache alla Bourguignonne"), Cornu aspersum ed Eobania vermiculata (piccola, anche detta "lumaca da sole").
La corazza (detta anche conchiglia o guscio) delle chiocciole ha scopo puramente difensivo; essa rappresenta un valido riparo dal sole e dal caldo estivo, ma anche dal freddo e dal ghiaccio invernale. Questo mollusco è quindi in grado di sigillarsi all'interno della conchiglia isolandosi per mezzo della bava secreta ed essiccata. La lumaca di terra commestibile sfrutta la conchiglia esterna come rifugio dai predatori.
Il guscio della chiocciola è composto da madreperla; questa specie di "tessuto" (parzialmente organico ma non irrorato) origina dalla secrezione cutanea di perlucina, una matrice di natura proteo-glicidica; questa sostanza, anche detta conchina, permette la formazione e la fissazione dei carbonati di calcio (anch'essi secreti dal mollusco), i quali, cristallizzando, conferiscono le caratteristiche di rigidità e stabilità alla madreperla.Sulla conchiglia della chiocciola (come sulle valve delle cozze e delle vongole) sono ben distinguibili le fasce di accrescimento dell'animale.
Escluso il guscio, la rimanente porzione visibile del corpo delle lumache di terra è detta piede; questo, facilitato dalla lubrificazione della bava secreta negli spostamenti, permette all'animale di avanzare. Dentro il guscio, invece, sono racchiusi e protetti tutti gli organi vitali, come il fegato, lo stomaco, il rene, il polmone ecc. Sulla testa della chiocciola (anteriormente rispetto al piede) emergono due appendici oculari lunghe e sottili, e due piccoli tentacoli con funzione percettiva. Al centro e in basso (sempre rispetto al capo) si trova l'orifizio boccale, all'interno del quale le lumache conservano una specie di lingua dentata (radula) che, sfregando sulle superfici organiche, ne rimuove piccoli frammenti.
Le chiocciole sono animali vegetariani polifagi, ma occasionalmente assumono un comportamento saprofago; le lumache da terra commestibili sono estremamente prolifiche poiché si riproducono per ermafroditismo incompleto.

Le chiocciole (Helix promatia e Cornu aspersum), per essere cucinate, necessitano un trattamento di purgazione dalla bava, dalle feci e da altre impurità. Il procedimento è piuttosto sadico in quanto non risparmia sofferenze all'animale.

Le stagioni migliori per l'acquisto delle lumache da terra commestibili FRESCHE sono l'autunno e l'inverno (da ottobre ad aprile), oltre le quali il mollusco rischia di acquisire un cattivo sapore maturando alte concentrazioni di molecole tossiche per l'uomo.
La purgazione delle chiocciole dura diversi giorni (da 2-3 giorni a 2-3 settimane a seconda delle fonti consultate) ed avviene all'interno di un recipiente chiuso ma ben aerato, nel quale gli animali vengono lasciati DIGIUNI, possibilmente sito in un locale fresco ed all'ombra.
In seguito allo "spurgo", le lumache da terra commestibili vanno lavate sia in acqua corrente, sia in acqua tiepida e salata, con o senza aceto, per asportare schiuma e residui. L'operazione va ripetuta più volte, maneggiandole delicatamente, ma in continuazione, finché l'acqua del lavaggio non risulterà ben chiara.
Dopo averle lasciate scolare, è poi necessario lessarle vive in pentola con acqua bollente almeno per un paio d'ore, avendo cura di schiumare frequentemente la superficie del liquido. A fine cottura, le chiocciole possono essere sgusciate comodamente e preparate in vari modi: alla borgogna, in umido, alla marchigiana, alla bordolese ecc. Le lumache da terra commestibili tipo Eobania vermiculata presentano un metodo di preparazione molto più semplice ma il loro consumo è decisamente meno diffuso.



Per farle fuoriuscire "spontaneamente" dal guscio, alcuni consigliano di cominciare la cottura in un tegame capiente coprendole con acqua e scaldando a fiamma molto bassa, in modo che il calore le solleciti ad abbandonare la conchiglia. Non appena tutte le lumache saranno uscite, la fiamma va alzata notevolmente in modo che rimangano bloccate all'esterno del guscio.

Ingerire senza spurgarle e senza cuocerle, porta le persone non solo a consumare un cibo indigeribile, ma potenzialmente mortale a causa dei parassiti di cui le lumache possono essere vettrici.
Uno tra tutti l’angiostrongylus cantonensis, un parassita di solito vivente nei pomoni dei ratti e che questi piccoli animaletti possono raccogliere se nel loro peregrinare si imbattono in escrementi murini. In particolare questo microrganismo causa il rigonfiamento del cervello e della spina dorsale. E questo senza calcolare tutti gli agenti patogeni con i quali il nostro organismo può venire in contatto tra batteri e virus. Conoscendo ora cosa comporta magiare lumache vive, la speranza è che vi teniate lontane da tali idee,seppur per scherzo. In passato è vero, le lumache venivano utilizzate per curare il mal di stomaco, ma i tempi cambiano e di certo questi piccoli animali non vivono più nelle condizioni di pulizia che potevano esserci un paio di secoli fa.





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CIBI SFUSI



I prodotti sfusi o alla spina possono essere acquistati presso i numerosi negozi specializzati presenti in Italia, ma anche nei punti vendita del biologico, in alcuni supermercati, in qualsiasi mercato per quanto riguarda la frutta e la verdura, e direttamente dai produttori agricoli.

Ciò garantisce numerosi vantaggi dal punto di vista economico e del rispetto dell'ambiente, soprattutto per i consumatori, ma anche per le aziende.

I prodotti che più comunemente vengono venduti alla spina, anche all'interno dei supermercati, sono i detersivi. Nei negozi di prodotti ecologici e bio troviamo detersivi alla spina di qualità, che sono rispettosi dell'ambiente anche dal punto di vista della composizione, e non soltanto per l'assenza di imballaggi. Basta acquistare un flacone riutilizzabile per detersivi e non ci si dovrà più preoccupare di smaltire le confezioni.

La maggior parte dei negozi specializzati nella vendita di prodotti sfusi tratta alimenti di origine biologica, coltivati senza ricorrere a pesticidi. Potremo dunque acquistare cibi più sani e sostenibili anche dal punto di vista produttivo. Molto conveniente è l'acquisto delle materie prima, a partire, ad esempio, dalle farine naturali.

La produzione di alimenti industriali incoraggia la realizzazione di imballaggi sempre più complessi per proteggere i prodotti, ma molto spesso troppo voluminosi e inutili. Ridurre gli imballaggi significa risparmiare denaro e contenere i costi di trasporto, con conseguente limitazione delle emissioni inquinanti lungo le strade e nel corso della catena produttiva.

I prodotti venduti sfusi o alla spina di solito sono più economici rispetto ai prodotti confezionati. Ciò accade poiché il consumatore acquista esclusivamente la materia prima, l'alimento o il detersivo che gli occorre, senza dover pagare per la confezione, la cui realizzazione può incidere anche del 10% sul prezzo finale di ciò che troviamo in vendita. Una famiglia italiana, secondo un'indagine di Federconsumatori, può arrivare a risparmiare almeno 64 euro al mese e fino a 700 euro all'anno scegliendo i prodotti alla spina in sostituzione di quelli confezionati. I vantaggi economici riguardano anche le aziende, che risparmieranno sui trasporti, sui costi di smaltimento dei rifiuti e per la produzione degli imballaggi.

L'acquisto di prodotti sfusi può avvenire non soltanto nei negozi specializzati o in alcuni supermercati, ma soprattutto direttamente dai produttori, ad esempio per quanto riguarda la frutta e la verdura, i cereali o i legumi, ma anche il riso, la pasta o l'olio. Basterà recarsi dal proprio coltivatore diretto di fiducia con cassette per la frutta, scatole di cartone e sporte di stoffa. Così, oltre a ridurre i rifiuti, favoriremo l'economia locale.

Seguire uno stile di vita sostenibile ed ecologico significa anche cercare di ridurre la quantità dei rifiuti prodotti quotidianamente in casa e in famiglia. Le confezioni degli alimenti hanno vita molto breve e costituiscono la maggior parte dei nostri rifiuti. Inoltre, non tutti gli involucri sono riciclabili (ad esempio, la maggior parte delle confezioni dei biscotti). Meglio dunque acquistare prodotti sfusi o le materie prime necessarie per prepararli in casa.



Scegliere prodotti sfusi e alla spina consente di ridurre l'impatto ambientale e le emissioni di Co2 della propria spesa. Infatti sarà possibile identificare i prodotti migliori da acquistare, che proverranno da filiere sostenibili per quanto riguarda i detersivi e da coltivazioni naturali per quanto concerne gli alimenti. L'assenza stessa di imballaggi indica che non sono state prodotte emissioni inquinanti per la loro realizzazione.

Nei punti vendita di prodotti alla spina in cui si trovano detersivi per la casa, detergenti e cosmetici per la persona, è spesso garantita l'origine vegetale delle materie prime utilizzate per la loro produzione. Ciò significa che i tensioattivi e gli ingredienti scelti per la loro realizzazione saranno di origine vegetale e naturale e non petrolchimica, dunque maggiormente rispettosi dell'ambiente.

I prodotti sfusi e alla spina garantiscono la massima libertà di acquisto ai consumatori. Infatti, di volta in volta, potremo acquistare l'esatta quantità di un prodotto per la detergenza e l'alimentazione di cui abbiamo bisogno, pagandolo a peso e senza dover spendere nulla di più. Si tratta anche di un'ottima strategia per limitare qualsiasi tipo di spreco e organizzare al meglio la spesa.

Sia le aziende che propongono prodotti sfusi, sia i consumatori che decidono di acquistarli hanno numerosi vantaggi, soprattutto dal punto di vista dello spazio e della praticità. Le aziende, utilizzando confezioni più grandi, e non imballaggi per ogni singola porzione, guadagneranno spazio in magazzino, mentre i consumatori potranno organizzare al meglio la propria dispensa e riutilizzare barattoli di vetro e flaconi di altri prodotti, scegliendo le dimensioni adatte a seconda della necessità (ad esempio, con differenze per i prodotti da tenere a portata di mano e per quelli da conservare in dispensa).
 Infine, si offre una buona opportunità ai produttori che vendendo alla spina possono farlo in modo diretto, tagliando così i costi della distribuzione.

Il latte crudo alla spina – per fare un esempio concreto – è appena munto, dunque di ottima qualità, naturale e senza trattamenti termici. Viene semplicemente raffreddato dai produttori attraverso degli impianti ad acqua gelata e dura fresco due giorni che diventano quattro se viene fatto bollire.

L’offerta, è una legge del mercato, si adegua sempre alle variazioni della domanda. Una volta tanto, dunque, possiamo essere noi a orientare i produttori e i distributori, sapendo che acquistare alla spina significa risparmiare e tagliare gli sprechi.

Si intendono sfusi i prodotti non avvolti da alcun involucro e i prodotti che - pur essendo originariamente preconfezionati o posti in involucro protettivo (es. prodotti di grossa pezzatura) - sono destinati ad essere venduti previo frazionamento, i prodotti confezionati sui luoghi di vendita a richiesta dell'acquirente ed i prodotti preconfezionati ai fini della vendita immediata.

Per i prodotti "sfusi" e "preincartati" non vige l’obbligo di apporre le etichette individuali con le modalità previste per i prodotti alimentari preconfezionati, infatti:

1. le fascette e le legature, anche se piombate, non sono considerate involucro o imballaggio;
2. devono essere muniti di apposito cartello, applicato ai recipienti che li contengono oppure applicato nei comparti in cui sono esposti.

Per i prodotti della gelateria, della pasticceria, della panetteria e della gastronomia, ivi comprese le preparazioni alimentari, l'elenco degli ingredienti puo' essere riportato su un unico e apposito cartello tenuto ben in vista oppure, per singoli prodotti, su apposito registro o altro sistema equivalente da tenere bene in vista, a disposizione dell'acquirente, in prossimita' dei banchi di esposizione dei prodotti stessi.

Sul cartello devono essere riportate:
la denominazione di vendita;
l'elenco degli ingredienti salvo i casi di esenzione;
le modalita' di conservazione per i prodotti alimentari rapidamente deperibili, ove necessario;
la data di scadenza per le paste fresche e le paste fresche con ripieno;
la percentuale di glassatura, considerata tara, per i prodotti congelati glassati.

I prodotti dolciari preconfezionati, ma destinati ad essere venduti a pezzo o alla rinfusa, generalmente destinati al consumo subito dopo l'acquisto, possono riportare le indicazioni sopra indicate, solamente sul cartello o sul contenitore, purche' in modo da essere facilmente visibili e leggibili dall'acquirente.






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lunedì 12 ottobre 2015

LA Fonduta Di Cioccolato E Frutta



La fonduta di cioccolato con frutta è una ricettina gustosa, sfiziosa e delicata per concludere una romantica cenetta per due a lume di candela. Il cioccolato fuso, afrodisiaco per eccellenza riconosciuto nel corso dei secoli, viene messo a contatto con la freschezza della frutta.

Preparare una fonduta di cioccolata è estremamente facile ma di grande impatto, sia visivo che culinario; infatti è un dessert che delizia il palato ed è adatta per ogni occasione.
Può essere preparata anche all’ultimo minuto, quando non si ha avuto tempo di preparare una torta o un altro dessert. Certamente, la base per il nostro dolce, è avere a disposizione i giusti elementi, ma sono tutti ingredienti che normalmente tutti abbiamo in casa. La fonduta di cioccolato, inoltre, è un ottimo modo per consumare frutta di stagione. Per un risultato migliore, è preferibile utilizzare del cioccolata fondente, il cui sapore forte si sposa meglio con la frutta, inoltre è più facile evitare la formazione di grumi. Con poco sforzo si ottiene un ottimo risultato.

Assicurati di avere a portata di mano:
Cioccolato fondente
panna
frutta
candela
pentolino
contenitori e posate




Preparare questa ricetta è molto semplice e veloce. Come primo passo bisogna scegliere i frutti: i più adatti sono banana, mela, fragole e le arance. Dopo aver lavato (ed asciugato bene) la frutta, adagiarla in piccole coppette divise per genere. Per un migliore effetto scenico, disporre le coppette in cerchio su un vassoio, al centro del quale andrà posto il recipiente con il cioccolato.

Una volta preparata la frutta, mettere il cioccolato fondente in una ciotola di metallo, da posare a sua volta in un pentolino contenente acqua bollente. Dopo aver sciolto lentamente il cioccolato a bagnomaria, lasciando il fuoco con la fiamma particolarmente moderata, aggiungere lentamente la panna liquida, senza portarla ad ebollizione, e mescolare bene in modo che gli ingredienti si uniscano omogeneamente, facendo attenzione ad eliminare eventuali grumi.





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IL CANE in padella



La carne di cane è un alimento consumato in diversi paesi del mondo (in particolare in Asia Orientale e Oceania) dove alcune razze canine sono allevate appositamente per la macellazione. La storia di questo prodotto alimentare, e le implicazioni culturali e legali del suo consumo, variano notevolmente da paese a paese.

In alcune società, il consumo alimentare di carne di cane si fonda su una stabile tradizione culturale, in altre, come in molti paesi occidentali, è generalmente ritenuto offensivo quando non immorale, sebbene alcuni autori occidentali ritengano che le critiche verso questa scelta culinaria siano un sintomo di intolleranza e di imperialismo culturale. Altre culture e individui, compresi alcuni non occidentali, si oppongono, di contro, al consumo di carne di cane nei paesi non occidentali, essendo i cani creature emotive e amichevoli nei confronti dell'uomo e/o perché si oppongono a metodi di macellazione che sono effettivamente crudeli.

Nella cultura ebraica, così come in quella islamica, il consumo di cane è proibito dalle leggi alimentari islamiche e dalle regole ebraiche del Casherut.

Nei media, la macellazione ed il consumo di carne di cane e di altri carnivori è stato correlato ad alcuni casi di trasmissione di rabbia, sebbene il WHO affermi che la consumazione della carne, anche cruda, di animali infetti non sia un vettore della rabbia.

Ogni anno nella città cinese di Yulin si tiene il Yulin Dog Day, un festival della carne canina.

Storicamente i cani sono stati una fonte di cibo d'emergenza per vari popoli della Siberia, dell'Alaska, della parte più settentrionale del Canada e della Groenlandia. Sono menzionati in letteratura alcuni casi di consumo alimentare di cani da slitta da parte di esploratori occidentali: l'esploratore britannico Ernest Shackleton, durante la spedizione Endurance in Antartide, fu costretto, in mancanza di viveri, a cibarsi dei propri cani da slitta. Casi analoghi coinvolsero gli esploratori Roald Amundsen, Douglas Mawson e Xavier Mertz. Quest'ultimo soffrì di ipervitaminosi A, indotta dal consumo del fegato dei cani.

Per una larga fascia della società canadese contemporanea, il consumo di carne di cane è tabù, ma la pratica permane presso alcune minoranze etniche. La legge ambientale canadese (Canada's Wildlife Act, 1973) proibisce la vendita delle carni di qualsiasi specie selvatica, ma nessuna legge, tuttavia, disciplina la vendita di carne canina che può essere quindi liberamente distribuita, se preventivamente macellata sotto il controllo di un ispettore sanitario federale.



Nel 2003, alcuni ispettori sanitari scoprirono quattro carcasse congelate di canidi nel freezer di un ristorante cinese di Edmonton. Dopo gli opportuni controlli, le carcasse, che non erano state denunciate, risultarono appartenere a dei coyote; anche se il ristorante venne chiuso, gli ispettori dichiararono che non era illegale la vendita e il consumo di canidi, fin tanto che la carne fosse stata regolarmente sottoposta ai controlli igienico-sanitari.

La carne di cane, in Italia e in molte altre parti del mondo, è da anni al centro di dispute morali riguardo la propria commestibilità, mentre in molti altri paesi, su tutti l‘Asia e l’Oceania, è un alimento normalissimo consumato abitualmente.

La storia di questo prodotto alimentare è molto varia, s’instaura in una tradizione millenaria in alcuni paese, mentre in altri si colloca oltre il limite del disgusto. Per tutti i fautori in Europa e in Italia di questa tipologia molto particolare di carne, è arrivata una buona notizia. Dal 2016 la carne di cane sarà dichiarata commestibile e commerciabile in tutta Europa e quindi in Italia. La domanda è stata accolta in seguito alla richiesta della società cinese “Xinshipu Ltd”. Dall’anno prossimo quindi ci sarà il via libera all’importazione di carni congelate di cane d’allevamento, e la libera commercializzazione in tutti i supermercati gastronomici europei. Gli ispettori che hanno accolto la domanda della “Xinshipu Ltd”, hanno affermato che “non è illegale la vendita e il consumo di canidi, fin tanto che i prodotti siano sottoposti a regolari controlli igienico-sanitari e che abbiano una regolare certificazione di commestibilità CE”.

Il governo cinese ha fortemente incoraggiato questa decisione, dal momento che da anni in Asia vengono importati regolarmente alcuni tipi di carne, quali il coniglio e il cavallo, da sempre considerati sacri. Motivo per il quale non ci dovrebbe essere alcun problema nel commercializzare la carne di cane anche all’estero.
Avrà nel mercato europeo un riscontro positivo questo nuovo particolare prodotto? Le probabilità che l’esito sia più che negativo sono di certo molto elevate.

La carne di cane non è consumata esclusivamente in Cina, ma anche in altri paesi come il Vietnam, la Corea del Sud, la Thailandia, l’India, l’Indonesia e le Filippine.
In Cina la carne di cane viene mangiata da migliaia di anni, e in alcune parti del paese è considerata una pratica socialmente accettabile tanto da essere incentivata anche dalle amministrazioni locali. Si pensa che la carne di cane abbia proprietà curative ed è credenza popolare che d’inverno riscaldi dal freddo. È particolarmente diffusa nella parte Nord Est della Cina, lungo il confine con la Corea, ma anche nelle regioni del Sud come Guizhou, Guangdong e Guangxi. Viene anche inclusa nel cibo che gli astronauti cinesi possono mangiare durante i viaggi nello spazio.
Oltre 10 milioni di cani vengono uccisi ogni anno per la loro carne e per la loro pelliccia, solo in Cina. Questi animali passano la maggior parte della loro vita in gabbia; circondati dalla sporcizia seguono una dieta povera che genera debolezza, malattie e persino episodi di cannibalismo.
Gran parte dei cani destinati alla produzione di carne in Cina viene dalle strade, altri sono allevati illegalmente, o rapiti e portati via dalle case dove abitavano.
Dopo essere stati trasportati al macello in gabbie dove riescono a malapena a muoversi, una morte terribile li aspetta. Per lo più vengono colpiti alla testa con un bastone, legati per il collo e colpiti a morte, altrimenti sgozzati e fatti dissanguare, o tramite elettrocuzione. In molte occasioni gli animali non muoiono subito, perdono coscienza per alcuni secondi svegliandosi poco dopo perfettamente vigili.


Sebbene la carne di cane sia consumata anche in paesi in cui tale pratica è illegale, sicuramente una ridefinizione e un rafforzamento delle norme è necessario. Luoghi come Filippine o Taiwan hanno introdotto leggi sul benessere animale per mettere al bando il commercio e il consumo di carne di cane, ma queste non vengono applicate.
Analogamente nel 2010, in Cina, è stata depositata una proposta di legge per vietare il consumo di carne di cane, pur in mancanza di una vera e propria direttiva in materia di benessere.
Nella Corea del Sud 2 milioni di cani vengono uccisi ogni anno per consumarne le carni. Nonostante la Korea Food & Drug Administration riconosca come cibo qualsiasi prodotto commestibile, ad eccezione delle droghe, nella capitale Seoul l’amministrazione locale ha approvato un regolamento che classifica la carne di cane come ‘cibo ripugnante’. Purtroppo, a quanto ci risulta, questo provvedimento non viene quasi mai applicato.
Alcune aree della Cina, come ad esempio Hong Kong, hanno introdotto provvedimenti per mettere al bando il consumo di carne di cane.







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