venerdì 25 settembre 2015

CIBI BIO



Fino a prova contraria, una mela rimane sempre e comunque un alimento biologico, indipendentemente dalle tecniche colturali impiegate.
Anche in riferimento alla definizione di agricoltura biologica, data dalla IFOAM, non mancano le critiche; non è vero, per esempio, che nell'agricoltura biologica l'impiego di fertilizzanti, pesticidi e medicinali chimici viene ridotto drasticamente. In effetti, nonostante nel mondo biologico tali prodotti siano - almeno sulla carta - apparentemente meno "pericolosi", vengono comunque utilizzati in maniera non certo trascurabile.
D'altra parte, oggi come oggi, un sistema produttivo biologico in senso stretto non consentirebbe di sfamare la popolazione (in accordo con la FAO), perché già un 30% della produzione potenziale viene perduto per cause parassitarie (nonostante l'impiego di pesticidi e medicinali chimici di sintesi).
Ricordiamo, inoltre, come in tutta Europa non si parli più di agricoltura biologica, ma di agricoltura organica, e di come questa sia regolamentata da una specifica disciplinare di produzione.
Particolare attenzione durante l'acquisto di alimenti biologici nella grande distribuzione o dal piccolo fruttivendolo, in modo particolare quando vengono esposti sfusi (come succede per le verdure ed i frutti non confezionati). Per essere riconoscibile, infatti, un alimento biologico dev'essere imballato ermeticamente e presentare un'etichetta adeguata alle norme di legge; solo in questo modo rispetta il concetto di tracciabilità. Nonostante la presenza degli indirizzi del produttore e del distributore non dia certezza assoluta sull'origine biologica dell'alimento, testimonia perlomeno una loro presa di responsabilità; di conseguenza, fornisce una certa garanzia al consumatore.
In definitiva, non possiamo continuare a descrivere gli alimenti biologici come un qualche cosa di immacolato, esente da trattamenti e naturale al 100%; così facendo si alimentano illusioni ed aspettative, che nel momento stesso in cui vengono disattese finiscono col sottrarre credibilità all'intero settore. Il consumatore, dal canto suo, deve capire che dietro un prodotto biologico, esiste - o dovrebbe esistere - prima di tutto un metodo di coltivazione incentrato sul rispetto della natura, quindi con un impatto ambientale ridotto rispetto alle tecniche tradizionali. Indipendentemente dalle frodi alimentari, che interessano sia i prodotti naturali che quelli biologici (più soggetti rispetto ai primi per il maggior valore commerciale), il terrorismo nei confronti dei fitosanitari di sintesi e l'eccesso di fiducia nel biologico sono quindi privi di fondatezza. I primi, infatti, sono presenti - o dovrebbero essere presenti - in concentrazioni minime, spesso meno pericolose rispetto ai veleni naturali presenti in alcuni cibi (con la differenza che molti fitosanitari si sciacquano via, mentre i secondi no); più sensato risulta l'impiego di alimenti e prodotti biologici nell'alimentazione di soggetti malati o di neonati, perché più suscettibili all'eventuale tossicità di alcune sostanze (non solo fitosanitari, ma anche - ad esempio - i residui di metalli pesanti provenienti da una fabbrica prossima al luogo di coltivazione).



Ma consumare biologico vale davvero la pena? Il bio mantiene le promesse di maggiore qualità e sicurezza? Il risultato di un'indagine (su frutta e verdura, uova, olio, pasta, latte e yogurt) è confortante: nessuna traccia di sostanze chimiche proibite nei prodotti bio e residui ben al di sotto del limite di legge negli altri. In passato, aveva suscitato scalpore uno studio dell’Università di Standford, che aveva confrontato i risultati di 237 precedenti ricerche giungendo alla conclusione che i cibi bio non sono più salutari di quelli convenzionali, perché non contengono in media più vitamine o proteine. Possono risultare contaminati da batteri come l’E-coli esattamente come gli altri, ma il rischio di trovare residui di pesticidi è inferiore del 30 per cento, anche se non sempre i prodotti biologici ne sono risultati totalmente privi.

D’altro canto, proseguiva l’indagine americana, la carne di pollo e di maiale biologica è meno esposta a ceppi batterici resistenti agli antibiotici. Gli scienziati di Standford ammettono che la loro metaanalisi presenta limiti, soprattutto perché gli studi analizzati erano piuttosto eterogenei, ma la polemica bio-non bio rimane accesa.

Studi scientifici e clinici, in ogni caso, stanno individuando alcune tendenze: la frutta biologica contiene in genere più vitamina C. Il latte è più ricco di omega 3, che proteggono il sistema cardiovascolare, elemento sottolineato anche nella ricerca di Standford. L’Università di Pisa ha poi confermato la maggiore presenza di minerali e licopene (sostanza anticancro) nei pomodori coltivati senza fertilizzanti chimici.

Il biologico non è esente da ombre. La prospettiva di guadagnare di più (in un settore in crisi come quello dell’agricoltura) induce alla frode. In Germania milioni di uova sono state vendute con il marchio bio benché gli allevamenti non rispettassero i parametri per avere la certificazione: 150 allevamenti della Bassa Sassonia sono finiti sotto inchiesta per sovraffollamento negli stabulari, maltrattamento degli animali e gravi mancanze alimentari ai danni delle galline. In Italia, la truffa più grossa in questo settore è stata messa in luce un paio di anni fa dalla Guardia di finanza di Verona. L’operazione, denominata Gatto con gli stivali, aveva scoperto una quarantina di aziende che commercializzavano cereali e frutta bio che di bio non avevano nulla.

Un’altra frode non da poco è quella svelata dalla Forestale di Comunanza (Ascoli Piceno) che ha scovato migliaia di preparati a base di propoli e miele ufficialmente biologici, in realtà contenenti residui di fitofarmaci vietati e pericolosi per il sistema nervoso. Altro punto dolente sono i controlli delle aziende bio, che sono affidati a una serie di organismi certificatori ma spesso risultano inadeguati e più attenti alla verifica dei numerosi documenti che alle analisi effettuate sul campo.

Al di là dei comportamenti illegali, c’è una discussione che attraversa i movimenti bio di tutto il mondo: l’allargamento del mercato non rischia in realtà di tradire l’idea iniziale, quella di un’agricoltura attenta ai tempi e ai modi della natura? Sotto accusa è il cosiddetto «biologico di sostituzione», ovvero un semplice cambiamento dei fattori: via i fertilizzanti chimici, dentro quelli bio, via i pesticidi, dentro le sostanze consentite dalla legge. E per le galline ovaiole, una vita in un ambiente più ampio delle colleghe non bio, con mangimi adeguati ma lontano dall’immagine bucolica di pennuti che razzolano nel prato verde. La certificazione, in questo caso, attesta che si è rispettato una disciplina europea (tranne i casi di truffa), ma nulla dice su tutto il resto che può fare molta differenza.

L'agricoltura biologica è un tipo di agricoltura che considera l'intero ecosistema agricolo, sfrutta la naturale fertilità del suolo favorendola con interventi limitati, vuole promuovere la biodiversità dell'ambiente in cui opera e limita o esclude l'utilizzo di prodotti di sintesi e degli organismi geneticamente modificati (OGM).

La parola "biologica" presente in agricoltura biologica è in realtà un termine improprio: l'attività agricola, biologica o convenzionale, verte sempre su un processo di natura biologica attuato da un organismo vegetale, animale o microbico.

La differenza sostanziale tra agricoltura biologica e convenzionale consiste nel livello di energia ausiliaria introdotto nell'agrosistema: nell'agricoltura convenzionale si impiega un notevole quantitativo di energia ausiliaria proveniente da processi industriali (industria chimica, estrattiva, meccanica, ecc.); al contrario, l'agricoltura biologica, pur essendo in parte basata su energia ausiliare proveniente dall'industria estrattiva e meccanica, reimpiega la materia principalmente sotto forma organica.



Una dicitura sintetica più appropriata avrebbe forse potuto essere una di quelle adottate in altre lingue, agricoltura organica oppure agricoltura ecologica, in quanto mettono in evidenza i principali aspetti distintivi dell'agricoltura biologica, ovvero la conservazione della sostanza organica del terreno o l'intenzione originaria di trovare una forma di agricoltura a basso impatto ambientale.

I principali obiettivi dell'agricoltura biologica così come sono stati definiti dall'International Federation of Organic Agricolture (I.F.O.A.M.) sono:

Trasformare il più possibile le aziende in un sistema agricolo autosufficiente attingendo alle risorse locali;
Salvaguardare la fertilità naturale del terreno;
Evitare ogni forma di inquinamento determinato dalle tecniche agricole;
Produrre alimenti di elevata qualità nutritiva in quantità sufficiente;

La filosofia dietro a questo modo di coltivare le piante e allevare gli animali, che fa riferimento a tecniche e principi antecedenti all'introduzione dei pesticidi in agricotura avvenuta negli anni 70, non è solamente legata all'intenzione di offrire prodotti senza residui di fitofarmaci o concimi chimici di sintesi, ma anche (se non di più) alla fondata volontà di non determinare nell'ambiente esternalità negative, cioè impatti negativi sull'ambiente a livello di inquinamento di acque, terreni e aria.

Nella pratica biologica sono centrali soprattutto gli aspetti agronomici: la fertilità del terreno viene salvaguardata mediante l'utilizzo di fertilizzanti organici, la pratica delle rotazioni colturali e lavorazioni attente al mantenimento (o, possibilmente, al miglioramento) della struttura del suolo e della percentuale di sostanza organica; la lotta alle avversità delle piante è consentita solamente con preparati vegetali, minerali e animali che non siano di sintesi chimica (tranne alcuni prodotti considerati "tradizionali") e privilegiando la lotta biologica. Gli animali vengono allevati con tecniche che rispettano il loro benessere e nutriti con prodotti vegetali ottenuti secondo i principi dell'agricoltura biologica. Sono evitate tecniche di forzatura della crescita e sono proibiti alcuni metodi industriali di gestione dell'allevamento, mentre per la cure delle eventuali malattie si utilizzano rimedi omeopatici e fitoterapici limitando i medicinali allopatici ai casi previsti dai regolamenti.

Un'interpretazione del concetto di agricoltura biologica tesa alla sovranità alimentare e a una più radicale opposizione alla moderna agricoltura industriale è il principio di autorganizzazione.

L'agricoltura biologica in Europa è stata regolamentata per la prima volta a livello comunitario nel 1991 con il Reg. (CEE) n° 2092/91 relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e all'indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari.Solo nel 1999 con il Reg. (CE) n° 1804/99 sono state regolamentate anche le produzioni animali.

Nel giugno del 2007 è stato adottato un nuovo regolamento CE per l'agricoltura biologica, Reg. (CE) n° 834/2007, che abroga i precedenti ed è relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici sia di origine vegetale che animale (compresa l'acquacoltura).

Gli alimenti biologici si sono dimostrati privi di residui da fitofarmaci nelle analisi condotte da Legambiente nell'ambito dello studio Pesticidi nel piatto 2007 ma non per questo maggiormente salubri. Uno studio dell'ICSP (International Centre for Pesticides and Health Risk Prevention) del 2007 mostra invece come taluni cibi biologici possano contenere residui di pesticidi. I cibi biologici sono comunque meno "inquinanti" dei cibi non biologici, ma non c'è una prova scientifica che tale purezza porti vantaggi significativi per la salute.

In generale, secondo le metà analisi svolte sulle centinaia di studi esistenti in tema, in particolare ad opera della Food Standards Agency e dall'Agenzia Francese per la Sicurezza Alimentare, non è possibile concludere che esistano differenze rimarcabili in quanto ad apporti nutrizionali tra prodotti convenzionali e biologici.

Nella prassi quotidiana, inoltre, differenze qualitative presenti fra prodotti biologici e tradizionali tendono ad appiattirsi ulteriormente a causa delle richieste dell'industria di trasformazione e distribuzione che richiede omogeneità e qualità uniformi per tutte le tipologie di prodotto.



Anche una ricerca finanziata dall'Università di Stanford rileva che tra prodotti biologici e convenzionali non c'è differenza, se si considerano gli effetti sulla salute e che, inoltre, i prodotti biologici non risultano più nutritivi. Lo studio riscontra una quantità di fitofarmaci superiore del 30% nei prodotti di agricoltura convenzionale, ma sostiene che questa percentuale non incide sulla salute dell'uomo. Un altro studio a risposta a quello dell'Università di Stanford che si basa su di un campione più elevato di dati, conferma, grossomodo, quanto dichiarato nel primo studio, ma svela che frutte e verdure biologiche hanno un numero maggiore di antiossidanti, tra il 20-40% in più rispetto a quelli coltivati con i metodi tradizionali.

Un'opinione diffusa vuole che i cibi biologici presentino valori più elevati di micotossine, sostanze naturali ad azione tossica prodotte da numerose specie di funghi. Diversi studi su micotossine, aflatossine e altri contaminanti degli alimenti non hanno però evidenziato differenze significative. In particolare, lo studio: “Qualità alimentare specifica e sicurezza dei cibi biologici”, presentato alla XXII Conferenza FAO per l'Europa (dal titolo "Food safety and quality as affected by organic farming") enuncia che “si può escludere che la produzione biologica conduca ad un rischio di contaminazione da micotossine più elevato", ma conclude rivelando la necessità di ulteriori studi sull'argomento.

L'agricoltura biologica, soprattutto se vista come modello di sviluppo globale, è stata al centro di dibattiti e critiche. In particolare sono due le principali obiezioni sollevate: la sua non sostenibilità su larga scala e la scarsa scientificità di talune sue pratiche legate all'assioma naturale=buono.

Se è vero che il divieto di usare la maggior parte di prodotti agrochimici di sintesi riduce quella parte dell'impatto ambientale agricolo legata all'immissione di molecole tossiche nell'ambiente, è altresì vero che la produzione biologica ha mediamente rese inferiori del 20-45% rispetto a quella convenzionale e pertanto, per produrre le medesime quantità, sarebbe necessario mettere a coltura il 25-64% di terre in più. Questo però porterebbe alla distruzione di habitat naturali importanti per la biodiversità oltre che ad aggravare il problema della fame.

Vi è inoltre la credenza che le pratiche di gestione biologiche consentano di ridurre la percolazione in falda di azoto o che aiutino lo sviluppo delle comunità microbiche del suolo; essa però non è del tutto accurata esistendo al riguardo dati controversi.

In tema di sostenibilità è stato osservato inoltre che l'agricoltura biologica è in grado di avvicinarsi, per molte colture, ai risultati di quella convenzionale solo se accoppiata ad una fertilizzazione del terreno. A causa della scarsità di animali allevati in modo biologico è attualmente consentito l'utilizzo anche di fertilizzanti certificati come biologici che di fatto però derivano da produzioni convenzionali. Questa pratica rende le rese dell'agricoltura biologica dipendenti dalla presenza di una forte agricoltura convenzionale, con risultati che non si potrebbero mantenere qualora l'agricoltura biologica, da fenomeno di nicchia, dovesse trasformarsi in un fenomeno globale.

In agricoltura biologica la scelta dei prodotti e delle molecole utilizzabili è decisa in base alla loro origine, che deve essere naturale. Tale distinzione tra prodotti naturali e di sintesi è però vuota da un punto di vista scientifico e porta all'erronea conclusione che i secondi siano più tossici dei primi. Questo di fatto consente di usare in agricoltura biologica prodotti naturali che presentano tossicità superiori rispetto a quelle di diversi prodotti di sintesi (come nel caso del rotenone) o il cui impatto ambientale è rilevante come nel caso del solfato di vinaccia, del nitrato del Cile o del verderame. Vi sono inoltre alcune patologie che non sono controllabili con sistemi biologici o per i quali vige la lotta obbligatoria che consente di mantenere la certificazione biologica pur utilizzando prodotti chimici di sintesi per il controllo dell'insetto o della patologia.

In taluni casi, l'impossibilità di usare diserbanti, rende necessario un maggior numero di lavorazioni meccaniche e per certe colture queste diventano onerose sia economicamente sia energeticamente, come nel caso del riso biologico.

Questi motivi rendono difficile la coltivazione biologica per molte specie agrarie, specialmente le commodity come il mais e la soia, la maggior parte delle coltivazioni è quindi confinata a specie di più facile gestione come alcune arboree (olivo) ed i pascoli e foraggi, che da soli costituiscono circa il 50% della superficie italiana a biologico.

Alcuni detrattori del "modello" biologico criticano fortemente anche l'uso della presunta superiorità del cibo biologico (nemmeno la pubblicità dovrebbe farvi riferimento) per far passare provvedimenti che ne impongano l'utilizzo nelle scuole sostenendo in modo artificiale il settore.

Molto criticati sono anche gli incentivi previsti per questo settore.

L'agricoltura biologica in questi anni ha sollevato molto interesse nei consumatori soprattutto a causa di alcuni scandali alimentari (BSE e Diossina) pur rimanendo un mercato di nicchia, dovuto in larga parte ai prezzi più alti rispetto ai corrispettivi prodotti convenzionali. In Italia, uno dei paesi leader nella produzione biologica europea, interessa circa il 6,9% della superficie agricola, di cui più del 50% rappresentato da pascoli e foraggere. Oltre alle considerazioni di tenore ambientale, altri motivi che hanno spinto l'adozione di questo tipo di pratica agricola in generale sono state quelle di tenore imprenditoriale (i consumatori sono disposti a pagare di più per i prodotti biologici) o legate alla disponibilità di finanziamenti dell'Unione europea per l'adozione di pratiche agricole eco-compatibili.

A differenza di quanto accade in tutta Europa, Stati Uniti o Giappone, dove tutte le principali catene distributive realizzano prodotti biologici a proprio marchio, e dove esistono catene di supermercati specializzati, negli ultimi anni la diffusione dei prodotti biologici nella grande distribuzione in Italia ha subito un rallentamento. L'esaurimento delle risorse dei Piani regionali di sviluppo - lo strumento con cui le Regioni "spendono" i finanziamenti europei per l'agricoltura - ha avuto la maggior responsabilità nella riduzione del numero delle aziende e delle superfici di vendita.

Il fatto non deve essere inteso però come indice di crisi di mercato: il sistema di controllo è infatti stato lasciato ad aziende maggiormente interessate ai contributi europei, che han continuato a vendere i propri prodotti sul mercato convenzionale. Di conseguenza il volume di prodotti biologici commercializzati si è ridotto solo nel canale supermercati, mentre ha continuato a crescere nel canale dei negozi specializzati ed in quello delle vendite dirette degli agricoltori.
Anche la quota di prodotti biologici utilizzati dalla ristorazione collettiva è in crescita: circa 1 milione di bambini mangiano cibo biologico a scuola come previsto dalla legge n.488/1999, art.59 e da altre leggi regionali) ed alcune regioni, tra le quali Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Marche e Basilicata, erogano anche contributi alle amministrazioni locali che optano per i prodotti biologici. La legge regionale n.29/2002 dell'Emilia-Romagna impone inoltre l'uso esclusivo di prodotti biologici in nidi d'infanzia, scuole d'infanzia e scuole elementari, mentre dev'essere di produzione biologica almeno il 35% degli ingredienti utilizzati nelle altre refezioni.

Gli organismi di controllo autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole (Mipaaf) sono enti di certificazione a cui la legge assegna il compito di verificare il rispetto dei regolamenti attuativi da parte delle aziende biologiche e concedere il proprio marchio da apporre alle etichette dei prodotti venduti dall'azienda associata. Tali organismi devono rispettare il principio di "terzietà" non intrattenendo altri rapporti commerciali o di consulenza con le aziende certificate; le Regioni e le Province a statuto speciale sono preposte al controllo di questo aspetto.

Gli organismi di controllo effettuano ispezioni presso le aziende associate con cadenza almeno annuale. La valutazione consiste in un sopralluogo di un auditor dell'organismo che controlla il rispetto delle normative e delle procedure, la tenuta dei registri e se necessario, in presenza di sospette violazioni, preleva campioni da sottoporre ad analisi. Tali enti di certificazione, per essere autorizzati dal Mipaaf, devono essere specificatamente accreditati da Accredia.






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